Violazione di domicilio: quando e come si configura in caso di assegnazione della casa ad uno degli ex coniugi

Violazione di domicilio: quando e come si configura in caso di assegnazione della casa ad uno degli ex coniugi

Con la Sentenza in commento (n. 32840/2019), la V Sezione penale della Corte di Cassazione è tornata ad affermare con chiarezza presupposti e limiti di configurabilità del reato di violazione di domicilio (art. 614 c.p.); lo ha fatto, in specie, con riferimento al reato contestato all’ex coniuge che aveva forzato l’accesso alla casa già assegnata – con ordinanza presidenziale provvisoria in sede civile – all’altro coniuge, il quale aveva provveduto, nel frattempo, a sostituire la serratura.

La doglianza del ricorrente – a fronte della doppia condanna pronunciata nei gradi di merito – si fondava essenzialmente sul rilievo della mancata esecutività del provvedimento di assegnazione dell’abitazione emesso dal Giudice civile, cosicché non avrebbe potuto ritenersi inibito l’accesso alla stessa da parte dell’ex coniuge, non ancora formalmente estromesso dalla disponibilità dei locali; per contro, a parere dell’imputato, illegittimo (e prematuro) sarebbe stato l’atto di sostituzione della serratura operato dall’ex coniuge beneficiario della provvisoria assegnazione.

La decisione della Suprema Corte, tuttavia, smentisce tale assunto, muovendo da rilievi che superano il mero valore formale del provvedimento emesso in sede civile. Il dato della non esecutività dell’assegnazione, infatti, è superato in ragione di almeno due elementi di natura sostanziale, che connotano la condotta dell’imputato nel caso di specie:

  • da un lato la consapevolezza dell’esistenza di un provvedimento – pur provvisorio – di assegnazione della casa all’altro coniuge e la possibilità, prevista dall’Ordinamento, che ad esso sia data spontanea esecuzione, fondano l’esistenza di un fumus boni iuris in capo al coniuge beneficiario, legittimandolo pienamente ad adottare accorgimenti idonei a rendere effettivo il provvedimento;
  • dall’altro il tenore delle condotte che ha caratterizzato l’azione dell’imputato (consistite nella forzatura e manomissione della serratura mediante l’ausilio di un fabbro) rende evidente – a prescindere dalla formale esecutività del titolo giuridico fondante l’assegnazione – il dolo che sorregge l’azione delittuosa, ossia “la chiara volontà dell’imputato di non voler soggiacere in ogni caso alla regolamentazione dell’assegnazione della casa familiare decisa dal giudice”.

In esito a tale ragionamento, la Corte arriva a riaffermare il principio di diritto secondo il quale: “configura il reato di violazione di domicilio la condotta dell’ex coniuge il quale si introduca nell’abitazione già familiare assegnata in via esclusiva alla moglie separata da un provvedimento del giudice, pur non dotato di formale esecutività, commessa con violenza sulle cose e, precisamente, manomettendo forzatamente le serrature di casa modificate dalla stessa titolare del diritto”.

Infine, il Supremo Collegio chiarisce come la condotta incriminata non avrebbe potuto essere oggetto di riqualificazione nel più lieve reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza sulle cose (art. 392 c.p.): tale fattispecie è, infatti, inidonea ad esaurire il disvalore del fatto nelle ipotesi in cui – come nel caso in commento – l’agente non si sia limitato ad introdursi ed a permanere nell’abitazione contro la volontà del titolare dello ius excludendi, ma lo abbia fatto mediante violenza e contro la espressa e manifesta volontà contraria del titolare medesimo.