NESSUN FINANZIAMENTO PUBBLICO ALLA SOCIETÀ SE COMPIE ILLECITI AMMINISTRATIVI

di Carlo CAVALLO
Avvocato in Torino


Articolo comparso sulla rivista BancaFinanza (gennaio 2014)150123-banca_finanza

Una società commerciale non può beneficiare di agevolazioni o finanziamenti statali se compie degli illeciti amministrativi ai sensi del D. Lgs. n. 231 del 2001. Questo anche nell’ipotesi che l’intero consiglio di amministrazione precedente si sia dimesso.

La Corte di Cassazione con sentenza n. 46439 del 21 novembre 2013, continua ad adottare una linea molto rigida nei confronti delle violazioni concernenti il D. Lgs. n. 231 del 2001: per i giudici di legittimità la società che si è “macchiata” di violazioni ai sensi della “231” non può godere di agevolazioni o finanziamento statali, nonostante gli amministratori si siano dimessi.

Il caso in cui è stata presa la predetta decisione è il seguente: con ordinanza del febbraio 2013, il Tribunale del Riesame di Cosenza aveva accolto la proposta del Pubblico Ministero di esclusione di una società a responsabilità limitata da agevolazioni, finanziamenti, contributi e sussidi attributi a qualsiasi titolo; a carico della società vi erano gravi indizi di responsabilità dell’ente per illecito amministrativo, conseguente a reato commesso dai suoi amministratori nell’interesse o a vantaggio della società. La società aveva infatti ottenuto, qualche anno prima, un pacchetto di finanziamenti pubblici finalizzati a particolari sperimentazioni nel settore lattiero-caseario. Le indagini della Guardia di Finanza avevano riscontrato rilevanti incongruenze nelle voci di spesa presentate al fine di ottenere l’erogazione della contribuzione pubblica, relative a rapporti di collaborazione con diverse persone che avrebbero dovuta partecipare alla ricerca. A seguito di accertamenti e perquisizioni, la Guardia di Finanza aveva appurato che le sperimentazioni e le ricerche non avevano mai avuto luogo.

Il Tribunale, all’esito delle indagini preliminari già in atti, riteneva che non esistessero le premesse per erogare il contributo per la sperimentazione e ricerca, rigettando la domanda per il pericolo di reiterazione del reato, nonostante la società avesse dimostrato che due suoi amministratori responsabili del fatto si erano dimessi.

Nel ricorso proposto avanti al Tribunale del Riesame la società si lamentava che nei suoi confronti erano state effettuate attività istruttorie, perquisizione e sequestro, con proroga delle indagini preliminari e svolgimento dell’udienza di cui all’art. 47, D. Lgs. n. 231 del 2001 per l’applicazione delle misure cautelari, senza che il Pubblico Ministero o il Giudice per le indagini preliminari avessero nominato all’ente il difensore d’ufficio, che in effetti era stato nominato solo in sede di riesame. Contestava, inoltre, la violazione di legge in relazione all’art. 45, D. Lgs. n. 231 del 2001, negando la sussistenza del pericolo di reiterazione del reato; per la società ricorrente il Tribunale, che aveva escluso che le dimissioni degli amministratori indagati incidessero sul pericolo di reiterazione, si era limitato ad osservare apoditticamente che la società “in seno alla sua organizzazione complessa può vantare altri ed anche più efficienti cursori del crimine“.

Per la Corte di Cassazione il ricorso è infondato: è stato viene evidenziato, in particolare, che in riferimento al pericolo di reiterazione del reato, le censure della società ricorrente risultano infondate.

La semplice circostanza, infatti, che gli amministratori indagati, abbiano dichiarato di dimettersi dalle loro funzioni non costituisce, di per sé, sintomo del superamento delle circostanze che hanno dato origine alle condotte illecite.

Secondo un orientamento giurisprudenziale consolidato, la valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari che costituiscono, insieme al “fumus commissi delicti“, il presupposto per l’applicazione delle misure cautelari interdittive a carico dell’ente, implica l’esame di due tipologie di elementi:

a. la prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e circostanze del fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell’illecito e dalla entità del profitto;

b. l’altra ha natura soggettiva ed attiene alla personalità dell’ente, e per il suo accertamento devono considerarsi la politica di impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e soprattutto lo stato di organizzazione dell’ente. La Cassazione ha avuto modo di affermare, osservano i giudici di legittimità, che nell’ipotesi di responsabilità derivante da condotte poste in essere dai dirigenti dell’ente, la sostituzione o l’estromissione degli amministratori coinvolti possono portare a escludere la sussistenza del “periculum“, purché ciò rappresenti il sintomo del fatto che l’ente inizia a muoversi verso un diverso tipo di organizzazione, orientata nel senso della prevenzione dei reati.

Conclusione: la Corte di Cassazione ha escluso che le semplici dimissioni degli amministratori possano portare ad eliminare la sussistenza del “periculum“; in sostanza per l’ottenimento di finanziamenti pubblici di quell’entità la società avrebbe dovuto dimostrare una autentica “svolta” nella gestione dell’intera attività, essendo le dimissioni dei due amministratori da ritenersi insufficienti.

Insomma: le società sottoposte a procedimento ex D. Lgs. 231/2001 corrono il rischio di vedere paralizzata la possibilità di accedere ai contributi pubblici. Indispensabile, dunque, prevenire, costruendosi un adeguato modello organizzativo.