NOVITA’: DA OGGI IL PAGAMENTO DEL DEBITO CON IL FISCO ESCLUDE LA PUNIBILITA’ PER TALUNI REATI TRIBUTARI

di Avvocato Carlo Cavallologo_espansione_2010

Articolo comparso sulla rivista Espansione (febbraio 2016).

La legge-delega del Parlamento n. 23/2014 (c.d. “delega-fiscale”), nel conferire mandato al Governo ad intervenire, fra l’altro, nel complesso sistema delle sanzioni penal-tributarie, ha fornito una chiara indicazione all’esecutivo circa le linee guida da seguire nella stesura del testo di riforma: privilegiare il criterio di proporzionlità delle pene rispetto alla gravità dei comportamenti posti in essere; stabilire il limite massimo di sei anni per le pene detentive, con la precisazione che l’applicazione di queste ultime deve essere limitata alle sole condotte più gravi, prevedendo, invece, per le condotte di minore gravità, la sola sanzione amministrativa. E’ centrale, infine, l’indicazione della legge-delega circa la necessità di prevedere adeguate soglie di punibilità e speciali circostanze in grado di escludere la responsabilità penale dei trasgressori: fra queste, in primis, rilevano quelle fondate sulla cooperazione tra contribuente e Fisco.

Proprio per dare attuazione a quest’ultima indicazione, con il d.lgs. 158/2015, il Governo è intervenuto sull’art. 13 del d.lgs. 74/2000, testo di riferimento in materia penaltributaria, mediante l’introduzione di quella che, tecnicamente, è chiamata una “causa di non punibilità”, che opera diversamente a seconda del tipo di reato contestato.

Si è così previsto, in primo luogo, che i contribuenti chiamati a rispondere di taluni reati tributari – invero di contenuta gravità (quali l’omesso versamento di ritenute certificate, l’omesso versamento di IVA e l’indebita compensazione) – “non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti” (art. 13, d.lgs. 74/2000); peraltro, non rileva che la regolarizzazione da parte del contribuente sia avvenuta in maniera per così dire “spontanea” o a seguito di speciali procedure conciliative, di “accertamento con adesione” o di “ravvedimento operoso” previste dalle norme tributari.

Parallelamente, la stessa causa di non punibilità è stata estesa anche a reati tributari più gravi, quelli c.d. “dichiarativi” (dichiarazione infedele ed omessa dichiarazione); tuttavia, per questi ultimi, il legislatore ha previsto limiti più stringenti per il contribuente, il quale, per beneficiare della non punibilità, dovrà dimostrare di aver estinto il relativo debito tributario prima di aver avuto conoscenza di qualsiasi attività di accertamento fiscale, sia essa di natura amministrativa o penale.

Il legislatore, quindi, seppure fissando parametri e limiti diversi – come si è visto – ha ricollegato al ravvedimento del debitore uno speciale ed inedito beneficio, in grado di far venire meno lo stesso procedimento penale a suo carico; per contro – prima dell’intervento di riforma in commento – il pagamento del debito tributario (di cui al previgente art. 13 d.lgs. 74/2000) poteva unicamente giovare al contribuente al fine di attenuare la pena prevista, che poteva essere ridotta fino ad un terzo.

Oggi, invece, con il nuovo testo dell’art. 13, il pagamento del debito – comunque questo si sia concretizzato – rende non punibile il trasgressore in ordine a diverse ipotesi di reato: in particolare, per quelli di omesso versamento di IVA o ritenute certificate, nonché di indebita compensazione, il pagamento del debito deve intervenire, al più tardi, prima che si apra il dibattimento davanti al Giudice di Primo Grado; per i reati di omessa e infedele dichiarazione, per contro – trattandosi di ipotesi più gravi -, il pagamento del debito, per escludere la punibilità, deve avvenire in maniera del tutto spontanea, cioè prima che l’interessato abbia avuto conoscenza di qualunque tipo di accertamento o indagine sulla propria regolarità fiscale.

Alcuni margini sono inoltre previsti in favore dell’imputato-contribuente che dimostri di aver aderito ad un “piano di rientro” con il Fisco mediante pagamento rateale: in tali casi, se si dimostra in giudizio che il pagamento è in corso, il Giudice può sospendere il processo per un termine di tre mesi (prorogabile di altri tre), in attesa che si completi il pagamento.

La circostanza attenuante di cui si è detto poc’anzi, già prevista dalla precedente formulazione del testo di legge, rimane comunque in vigore per tutte quelle ipotesi di reato fin’ora non menzionate. Ciò significa che, quando l’interessato sia chiamato a rispondere di un reato tributario diverso da quelli di omesso versamento o da quelli di omessa o infedele dichiarazione, la dimostrazione di aver estinto il proprio debito con il Fisco, seppure non farà venir meno la sua punibilità, gli gioverà comunque in forma di riduzione della pena in misura cospicua (fino alla metà, mentre prima della riforma la riduzione si fermava, al massimo, ad un terzo).

Qualora l’imputato voglia accedere al rito speciale del patteggiamento (beneficiando così di un ulteriore sconto di pena), è in ogni caso richiesto il pagamento integrale del debito tributario (comprese sanzioni ed interessi).