RESPONSABILITA’ DELLE BANCHE E MODELLI ORGANIZZATIVI EX D. LGS. 231/2001

di Avv. Carlo Cavallo
Avvocato in Torino


Intervento al SEMINARIO DI STUDIO ED AGGIORNAMENTO PER LA PROFESSIONE DEI COMMERCIALISTI – Torino, 23 settembre 2011

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“RESPONSABILITA’ DELLE BANCHE E MODELLI ORGANIZZATIVI EX D. LGS. 231/2001: I CASI ITALEASE E PARMALAT”

Il tema dell’intervento comporta un’analisi incrociata di due differenti discipline, la prima relativa alla materia della responsabilità degli enti in conseguenza di reati, la seconda, più specifica, avente ad oggetto i riflessi che, nel settore bancario, derivano dall’applicazione di detta responsabilità.

Poiché, dunque, il discorso prende le mosse dal d. lgs. 231/2001, che delinea appunto la responsabilità degli enti, si rende indispensabile affrontare, in via preliminare, il quesito della natura di tale responsabilità.

 

 

  1. PREMESSA: NATURA DELLA RESPONSABILITA’ DELL’ENTE EX D. LGS. 231/2001.

 

  1. In attuazione della delega contenuta nell’art. 11 l. 29 settembre 2000 n. 300, il d.lgs. n. 231/2001 ha introdotto una, nuova, inedita forma di responsabilità da reato degli enti.

Dando esecuzione, tra l’altro, alle direttive contenute nell’art. 2 della Convenzione O.C.S.E. sulla lotta alla corruzione, stipulata a Parigi il 17 dicembre 1997, i testi normativi menzionati hanno per la prima volta configurato la diretta responsabilità degli enti collettivi per i reati consumati nel loro interesse o vantaggio dalle persone fisiche che agli enti medesimi sono legati da un rapporto funzionale.

 

  1. Sulla tradizionale impostazione di matrice giusnaturalistica che classifica l’ente collettivo come centro autonomo di imputazione di diritti una mera finzione giuridica – e come tale a maggior ragione incapace di commettere illeciti – si è imposta anche nell’ambito penalistico la concezione c.d. “organica”, che ha messo in crisi la stessa tenuta logica del brocardo societas delinquere non potest. In tale ottica la persona giuridica cessa infatti di essere una mera astrazione, ma diviene una “realtà”, che si esprime ed agisce attraverso i propri rappresentanti persone fisiche, nell’ambito di un rapporto di immedesimazione organica e non già di alterità.

 

  1. La scelta operata con il d.lg. n. 231/2001 non è stata comunque, almeno nella dichiarata intenzione del legislatore, quella di attribuire diretta soggettività penale alle persone giuridiche: il legislatore delegato ha preferito configurare in maniera autonoma la responsabilità dell’ente. Del resto lo stesso legislatore delegante aveva voluto rimarcare tale autonomia, qualificando come “amministrativa” la responsabilità dell’ente collettivo e fissando così a quello delegato un percorso obbligato. Una responsabilità diretta dell’ente per fatto proprio, dunque, che il legislatore non ha voluto però etichettare come responsabilità penale, scegliendo un approccio alla materia della responsabilità degli enti collettivi dichiaratamente improntato alla prudenza.

E difatti già nell’intitolazione del d.lg. n. 231/2001 viene operato un esplicito riferimento alla natura “amministrativa” della responsabilità dell’ente. Ma l’impostazione dell’intervento legislativo sembra riflettersi soprattutto nella norma definitoria contenuta nel c. 1 dell’ art. 1, dove è precisato che il decreto contiene la disciplina della responsabilità degli enti per gli “illeciti amministrativi dipendenti da reato” (formula ripresa anche nel successivo art. 55, relativo all’iscrizione della notizia “dell’illecito amministrativo dipendente da reato” e confermata ancor più esplicitamente dalla l. 16 marzo 2006 n. 146, che definisce “illeciti amministrativi” quelli da cui scaturisce la responsabilità dell’ente per la consumazione di “reati transnazionali” collegati all’attività del crimine organizzato).

Il legislatore ha dunque configurato un’autonoma figura complessa di illecito, in cui il reato costituisce uno degli elementi che integrano l’articolata fattispecie da cui scaturisce la responsabilità dell’ente e la cui tipicità è definita dal combinato disposto delle disposizioni contenute nella prima sezione del capo primo del d.lg. n. 231/2001 e da quelle che contemplano i cataloghi dei reati presupposto.

In realtà la costruzione normativa risulta non poco ambigua. In effetti le eclatanti differenze esistenti tra la fattispecie relativa al reato commesso dai vertici apicali dell’ente (art. 6) e quella invece riferita al reato consumato dai soggetti ad essi sottoposti (art. 7), consentirebbero perfino di dubitare dell’unitarietà del modello di responsabilità. Nella prima ipotesi in definitiva l’ente viene chiamato a rispondere per immedesimazione dello stesso fatto di reato imputato ai suoi rappresentanti; nella seconda, invece, l’illecito assume una struttura effettivamente più complessa, atteso che la responsabilità dell’ente sembra discendere dall’agevolazione colposa del reato commesso dai sottoposti, con il risultato che la formula di “illecito amministrativo dipendente da reato” coniata dal legislatore potrebbe assumere in questo caso maggiore spessore dogmatico.

 

  1. Consapevole degli interrogativi che il multiforme aspetto della responsabilità dell’ente avrebbe potuto suscitare, il legislatore ha cercato di prevenire ogni equivoco provvedendo, come già accennato, a qualificare tale responsabilità come “amministrativa”.

Peraltro la scelta legislativa ha innescato un acceso dibattito in merito alla “effettiva” natura della responsabilità dell’ente. Larga parte della dottrina tuttora dissente dalla qualificazione operata dal legislatore, ritenendo sostanzialmente “penale” la responsabilità dell’ente.

In proposito si è esplicitamente parlato di vera e propria “frode delle etichette[1], evidenziando come il sistema delineato dal d.lg. n. 231/2001 “di amministrativo presenta solo il nome, apparendo […] un mascheramento della responsabilità penale della persona giuridica[2], finalizzato all’aggiramento dei principi sanciti dall’art. 27 Cost.[3].

Più in generale si è osservato che appare difficile non attribuire alla responsabilità dell’ente natura sostanzialmente penale, posto che la stessa dipende dalla consumazione di un illecito penale, “soggiace allo stigma tipico di un giudizio penale” e comporta l’applicazione di sanzioni punitive di “contenuto omologo a quello di una sanzione penale[4], tanto più che verso la qualificazione penale spinge la stessa configurazione, nell’ art. 8 del decreto, dell’autonomia della responsabilità dell’ente[5].      Altri sottolineano l’irrazionalità di una diversa qualificazione di illeciti (quello compiuto dalla persona fisica e quello attribuito all’ente giuridico) pur sostanzialmente lesivi del medesimo bene giuridico, sottolineando in proposito l’inscindibile legame che intercorre tra l’illecito formalmente amministrativo imputato all’ente e il reato[6]. Infine, autorevole dottrina evidenzia come le sanzioni riservate all’ente risultino caratterizzate da quel personalismo che identifica proprio le sanzioni criminali[7].

V’è da osservare, proprio in merito al sistema sanzionatorio, come il legislatore abbia rimesso alla discrezionalità del Giudice uno spazio eccessivo nella determinazione della sanzione da irrogare, obliterando il peso specifico che, nel settore propriamente penale, viene riconosciuto alla recidiva. Ne deriva che situazioni tra loro disomogenee (ad esempio il caso dell’ente che viola occasionalmente e modestamente il decreto legislativo in confronto a quello che reiteratamente abbia, anche gravemente, violato la stessa normativa) possono ricevere trattamenti ingiustamente analoghi.

Anche la giurisprudenza di legittimità, nelle occasioni in cui finora si è pronunziata sulla natura della responsabilità da reato degli enti, sembra aver ritenuto che la terminologia utilizzata dal d.lg. n.231/2001 dissimuli in realtà la natura sostanzialmente penale della responsabilità delle persone morali.

Per contro autorevoli voci si sono levate anche per affermare la natura effettivamente amministrativa della responsabilità dell’ente, evidenziando come essa sia oggettivamente e soggettivamente “altra” rispetto a quella della persona fisica, cui in definitiva sarebbe “dedicato” l’ordinamento penale[8] e il dettato dell’art. 27 co. 1 Cost.[9], ovvero ricordando come, a parte il rispetto della lettera della legge, la regolamentazione che determinati istituti (come ad esempio la prescrizione o la vicenda modificativa dell’ente) riceve nel d.lg. n. 231/2001 risulta incompatibile con la disciplina penalistica[10].

Contestando gli argomenti portati a sostegno della natura penale della responsabilità, si è altresì osservato che già l’art. 24 della l. n. 689/1981 prevede la possibilità che l’illecito amministrativo connesso a quello penale venga rimesso alla competenza del giudice penale, disposizione che non ha mai fatto dubitare della natura del primo[11], oppure che le sanzioni previste dal d. lgs. n. 231/2001, tanto pecuniarie che interdittive, sono in realtà assimilabili a quelle contemplate dalla normativa amministrativa[12].

 

  1. Conclusioni: una volta accettata l’idea che il dogma societas delinquere non potest non è assistito da alcuna “copertura” di tipo costituzionale lo spessore della controversia non può che ridimensionarsi. In definitiva sarebbe necessario rassegnarsi al fatto che “la responsabilità degli enti non ha bisogno, né reclama qualificazioni […]: si tratta di una responsabilità punitiva che sorge in ambiente penalistico, per esigenze di miglior tutela dei beni giuridici, ma non assume lo schema penalistico[13].

 

 

 

  1. Principi generali e criteri di attribuzione Della responsabilità amministrativa ex D.Lgs. n. 231/2001.

 

            Per comprendere, nella sua complessità, il funzionamento del regime di responsabilità introdotto con il d. lgs. 231/2001, occorre analizzare, seppur brevemente, i principi ed i criteri generali che ispirano la disciplina in esame.

 

Il primo aspetto riguarda l’individuazione dei soggetti concretamente sottoposti alla normativa.

 

2.1. SOGGETTI DESTINATARI: Sono soggetti alla responsabilità ex d. lgs. 231/2001:

  • gli enti e associazioni forniti di personalità giuridica;
  • le società di capitali e di persone;
  • le società cooperative;
  • i comitati ed associazioni prive di personalità giuridica;
  • gli enti pubblici economici;
  • gli enti privati concessionari di un pubblico servizio;
  • le associazioni (riconosciute e non riconosciute) e fondazioni.

 

In pratica, sono soggetti alla disciplina in questione le società per azioni, le società in accomandita per azioni, le S.r.l. (anche con un unico socio), le S.p.a. con partecipazione dello Stato o di Enti pubblici, le società estere con sede secondaria nel territorio dello Stato, le società di intermediazione mobiliare, le imprese di investimento di capitale variabile, le società di investimento e di gestione di fondi comuni di investimento, le società di revisione, le società sportive, le società cooperative, le mutue assicuratrici, le società semplici, le S.n.c. e le S.a.s.

 

Analoga sorte seguono le società di fatto e più in generale quelle c.d. irregolari.

 

L’ambito di operatività del decreto 231 si estende poi anche agli enti pubblici economici (che sono, come noto, quelle persone giuridiche pubbliche create per la gestione di un’impresa industriale o commerciale che operano in regime di diritto privato), alle associazioni non riconosciute, alle fondazioni − incluse, si badi bene, quelle bancarie − nonché alle società private appaltatrici di opere pubbliche e cessionarie di finanziamenti statali.

 

Anche le imprese committenti possono essere chiamate a rispondere ex decreto 231 per un infortunio avvenuto nell’ambito di lavori affidati in appalto ad una società appaltatrice oppure dei lavori affidati ad un lavoratore autonomo.

 

Soggette alla disciplina in commento devono essere ritenute le società c.d. miste

e quelle pubbliche (a capitale interamente pubblico).

 

L’art. 1, comma 2, del decreto 231 individua una serie di soggetti che, pur avendo personalità giuridica, non rientrano tra i destinatari della responsabilità in commento, vale a dire: • Stato; • enti pubblici territoriali (Regioni ed enti locali); • altri enti pubblici non economici; • enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale (tra cui rientrerebbero anche i partiti politici ed i sindacati).

 

Chiariti i destinatari, giova precisare ed analizzare partitamente i:

 

2.2 REQUISITI PER L’APPLICAZIONE DELLA SANZIONE.

 

La sanzione amministrativa per l’ente può essere applicata esclusivamente dal giudice penale, nel contesto del processo penale, solo se sussistono tutti i requisiti oggettivi e soggettivi fissati dal legislatore: A) la commissione di uno o più reati tra quelli espressamente catalogati nel d. lgs. 231/2001, B) nell’interesse o a vantaggio della società, C) da parte di soggetti qualificati (apicali o ad essi sottoposti).

 

2.2.1. REATI PRESUPPOSTO: originariamente prevista per i reati contro la pubblica amministrazione o contro il patrimonio della P.A. (indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato o di un ente pubblico o per il conseguimento di erogazioni pubbliche e frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico ex art. 24), la responsabilità dell’ente è stata – per effetto di provvedimenti normativi successivi al D. Lgs. 231/2001 – progressivamente estesa ad un’ampia serie di reati, tra cui i reati societari (art. 25-ter) e di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione del mercato (art. 25-sexies), alle fattispecie di omicidio colposo e lesioni colpose gravi o gravissime commessi in violazione delle norme antinfortunistiche e sulla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro (art. 25-septies), nonché alle ipotesi di cui agli artt. 648 c.p. (ricettazione), 648-bis c.p. (riciclaggio) e 648-ter c.p. (impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita) (art. 25-octies).

 

Occorre evidenziare come già per effetto della L. n. 123/2007, che ha introdotto la possibilità di affermare la responsabilità amministrativa dell’ente anche in dipendenza di delitti colposi, e non solo più dolosi, sia stato notevolmente ampliato per i destinatari del sistema delineato dal D. Lgs. 231/01 il rischio di essere sottoposti all’applicazione delle misure cautelari e sanzionatorie ivi previste. Infatti, i delitti previsti dall’art. 25-septies, in quanto dovuti a violazione di legge, regolamenti, ordini o discipline, oltre che di norme cautelari di ordinaria diligenza, prudenza e perizia, sono di facile verificazione nell’ambito di organizzazioni collettive più o meno complesse.

 

2.2.2. L’INTERESSE ED IL VANTAGGIO: sul piano oggettivo, la responsabilità amministrativa consegue da un reato commesso nell’interesse o a vantaggio dell’ente.

Interesse e vantaggio sono elementi richiesti in forma alternativa: sintetizzando, per quanto possibile in una materia che ha già sollevato un ampio e vivace dibattito, si può dire che l’interesse indica la proiezione finalistica della condotta, mentre il vantaggio si riferisce al risultato concretamente conseguito.

E’ bene precisare che, ai sensi dell’art. 5, comma 2 del D. lgs. 231/01, la realizzazione di un reato nell’interesse esclusivo dell’agente (o di un terzo rispetto all’ente) esclude la responsabilità dell’ente, che pure abbia tratto un accidentale vantaggio dalla condotta illecita, versandosi in una situazione di assoluta e manifesta estraneità dell’ente al fatto di reato. Tale previsione normativa non può non stimolare ampie riflessioni sulla importanza che, in questa costruzione legislativa, assume l’elemento soggettivo dell’agente.

 

2.2.3. I SOGGETTI QUALIFICATI: quanto ai soggetti, il legislatore, all’art. 5 del d. lgs. 231/2001, prevede la responsabilità dell’ente qualora il reato sia commesso:

 

  1. a) “da persone che rivestono funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale nonché da persone che esercitano, anche di fatto, la gestione e il controllo degli stessi” (cosiddetti soggetti apicali);

 

  1. b) “da persone sottoposte alla direzione o alla vigilanza di uno dei soggetti di cui alla lettera a)” (cosiddetti sottoposti). Nell’ipotesi di reati commessi dai soggetti di cui alla lett. b), il fatto del sottoposto coinvolge la responsabilità dell’ente solo se risulta che la sua realizzazione è stata resa possibile dall’inosservanza degli obblighi di direzione o di vigilanza.

 

Il quadro fin qui delineato non è ancora completo: nel sistema sanzionatorio delineato dal D.Lgs. 231/01, infatti, l’illecito dell’ente è strutturato su una fattispecie complessa costituita sul piano oggettivo da due elementi essenziali, e cioè la realizzazione di un reato presupposto (“espressamente” previsto nel catalogo delineato nella sezione III del capo I del D.Lgs. 231/01) da parte di un soggetto che abbia un rapporto qualificato con la persona giuridica e la commissione del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente stesso.

A questi elementi si aggiunge l’elemento “soggettivo” della colpa di organizzazione – diversamente connotato a seconda che il delitto presupposto sia stato commesso da un soggetto in posizione apicale (art. 6 D.Lgs. 231/01) o sottoposto all’altrui vigilanza e direzione (art. 7 D.Lgs. 231/01) -. Di esso si parla qui di seguito.

2.3. LA COLPEVOLEZZA DELL’ENTE.

 

Siffatto requisito soggettivo si identifica con una “colpa di organizzazione”, intesa come violazione di adeguate regole di diligenza autoimposte dall’ente medesimo e volte a prevenire lo specifico rischio da reato.

 

La responsabilità diretta degli enti per i reati commessi da chi opera professionalmente al loro interno incontra un limite, oltre che nella tipologia di reato commesso da propri organi e dipendenti, nella predisposizione da parte della persona giuridica di appositi fattori esimenti.

 

Il decreto, infatti, riconosce all’ente la possibilità di andare esente da responsabilità attraverso l’adozione di strumenti di prevenzione e difesa, c.d. piattaforme regolamentari protettive, potenzialmente idonee a ridurre il rischio di realizzazione dei reati più strettamente legati alla normale dinamica con cui si attua la gestione di società, associazioni e persone giuridiche in genere.

 

Nell’ambito di tali misure, fondamentale importanza riveste il Modello di organizzazione e gestione di cui agli artt. 6 e 7 del D. lgs. 231/01, costituito da un complesso documento organizzativo avente ad oggetto la codificazione di procedure interne che, sulla base delle concrete modalità di attuazione dei fatti gestionali dell’ente, è in grado di prevenire la commissione dei reati presupposto. Si giunge, in tal modo, al cuore della disciplina del d. lgs. 231/2001.

 

2.3.1. I MODELLI ORGANIZZATIVI.

 

L’adozione del Modello è, per legge, facoltativa, tranne i casi in cui essa è resa obbligatoria da disposizioni diverse[14]. Tuttavia, che si tratti di uno strumento organizzativo irrinunciabile appare evidente in considerazione della centrale funzione di esclusione della responsabilità dell’ente che la legge gli riconosce.

Tale funzione è subordinata all’effettiva idoneità del modello da valutarsi nella duplice fase della

  • preventiva adozione e
  • successiva attuazione.

 

Il giudice penale dovrà, cioè, valutare sia l’idoneità del documento a svolgere la funzione di prevenzione affidatagli dalla legge, sia l’effettività delle modalità concrete con cui esso è reso operativo all’interno dell’ente.

 

Il modello organizzativo e gestionale deve prevedere:

  • un’articolazione di funzioni che, tenuto conto della natura e delle dimensioni dell’organizzazione aziendale e del tipo di attività svolta, assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
  • un idoneo sistema di controllo che garantisca l’attuazione del modello organizzativo ed il mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate, attraverso la modifica del medesimo modello ogni qual volta siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all’igiene sul lavoro, ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.

 

Sempre sul piano della funzione svolta, i modelli esplicano effetti differenti in relazione al ruolo che l’autore del reato riveste nel contesto organizzativo dell’ente: nel caso di reato commesso da soggetti in posizione apicale, il modello organizzativo dovrà essere strutturato in modo da prevenire illeciti suscettibili di essere realizzati nella fase di formazione ed attuazione delle decisioni dell’ente; diversamente, nella situazione in cui responsabile sia un dipendente sottoposto all’altrui vigilanza il modello dovrà risultare efficace rispetto al differente momento dell’esecuzione delle decisioni stesse.

 

2.3.1.1 DESTINATARI DEL MODELLO.

I destinatari delle norme e delle prescrizioni contenute nel Modello sono tutti gli esponenti dell’ente collettivo: lavoratori, dirigenti, amministratori e membri degli altri organi sociali; altresì destinatari del Modello – tenuti, quindi, al suo rispetto – sono i collaboratori esterni, i liberi professionisti, i consulenti (collettivamente, “Collaboratori Esterni”) nonché tutti i partners commerciali (“Partners”).

 

2.3.1.2. AZIONI DA PARTE DELL’ENTE CHE IL DECRETO CONSIDERA ESIMENTI DALLA RESPONSABILITÀ AMMINISTRATIVA.

 

L‘articolo 6 del Decreto prevede una forma specifica di esimente dalla responsabilità amministrativa qualora l’Ente dimostri che:

  1. a) l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima della commissione del fatto illecito, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire la realizzazione degli illeciti penali considerati;

 

  1. b) ha affidato, ad un organo interno, l’Organismo di Vigilanza, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento e sull’efficace osservanza del modello in questione, nonché di curarne l’aggiornamento;

 

  1. c) le persone che hanno commesso il reato hanno agito eludendo il Modello su indicato;

 

  1. d) non vi è stato omesso o insufficiente controllo da parte dell’Organismo di Vigilanza (ODV).

 

Al comma 2 del medesimo art. 6, il Decreto prevede inoltre che i modelli di organizzazione e gestione debbano rispondere alle seguenti esigenze:

  1. a) individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi i reati;
  2. b) prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
  3. c) individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee a impedire la commissione di tali reati;
  4. d) prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello;
  5. e) introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello.

 

La formulazione dei modelli e l’organizzazione dell’attività dell’ODV devono porsi l’obiettivo del giudizio di idoneità, da parte dell’autorità giudiziaria, che conduca all’“esonero” di responsabilità dell’ente. A tale proposito lo stesso Decreto prevede che i modelli di organizzazione e di gestione, garantendo le esigenze suddette, possono essere adottati sulla base di codici di comportamento (c.d. Linee Guida) redatti da associazioni rappresentative di categoria, comunicati al Ministero della Giustizia, che – di concerto con i Ministeri competenti – può formulare entro trenta giorni osservazioni sulla idoneità dei modelli di organizzazione e di gestione a prevenire i reati.

 

Chiariti, in questi termini, le condizioni per l’affermazione o l’esenzione dalla responsabilità dell’ente in conseguenza di un reato, va ancora analizzato il profilo, assai importante, delle sanzioni.

 

  1. LE SANZIONI: le sanzioni amministrative per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato sono:

 

  1. a) sanzioni pecuniarie.

Questo tipo di sanzione è quantificata secondo un sistema di quote, che possono variare da un minimo di 100 ad un massimo di 1000 ed il cui valore oscilla da un minimo di € 250,23 ad un massimo di € 1549,37. La determinazione dell’importo di ogni quota è rimessa alla discrezionalità del giudice, che valuta, ex art. 11, le condizioni patrimoniali ed economiche in cui versa l’ente nonché la gravità del fatto, il grado della responsabilità dell’ente, l’attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e per prevenire la commissione di ulteriori illeciti.

Sottolineare l’amplissima resa alla discrezionalità del Giudice nei casi di recidiva dell’ente.

Ai sensi dell’art. 12, la sanzione è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado:

1) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

2) è stato adottato e reso operativo un modello organizzativo idoneo a prevenire reati della specie di quello verificatosi.

Nel caso in cui concorrono entrambe le condizioni previste dalle lettere a) e b), la sanzione è ridotta dalla metà ai due terzi.

In ogni caso, la sanzione pecuniaria non può essere inferiore a euro 10.329

 

  1. b) sanzioni interdittive.

Questo tipo di sanzioni possono aggiungersi alle precedenti e consistono in:

B.1 interdizione dall’esercizio dell’attività;

B.2 sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;

B.3 divieto di contrattare con la P.A.;

B.4 esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi, sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi;

B.5 divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Per applicare le sanzioni interdittive occorre che di esse vi sia esplicita previsione normativa nei reati presupposto. Inoltre dette sanzioni vengono irrogate quando ricorre almeno una delle seguenti condizioni:

1) l’ente ha tratto un profitto di rilevante entità ed il reato è stato commesso da soggetti in posizione apicale ovvero da soggetti sottoposti all’altrui direzione quando, in questo caso, la commissione del reato sia stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;

2) in caso di reiterazione degli illeciti.

La determinazione del tipo e della durata della sanzione interdittiva è demandata alla discrezionalità del giudice, che dovrà seguire i citati criteri indicati dall’art 11.

A mente dell’art. 17 del decreto, ferma l’applicazione delle sanzioni pecuniarie, le sanzioni interdittive non si applicano quando, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, concorrono le seguenti condizioni:

1) l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso;

2) l’ente ha eliminato le carenze organizzative che hanno determinato il reato mediante l’adozione e l’attuazione di modelli organizzativi idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi;

3) l’ente ha messo a disposizione il profitto conseguito ai fini della confisca.

 

  1. c) confisca;

 

  1. d) pubblicazione della sentenza.

 

Fatte queste precisazioni, vi sono le condizioni per analizzare il tema della responsabilità ex d. lgs. 231/2001 nell’ambito della vicenda che ha riguardato la Banca Italease S.p.A..

 

  1. BANCA ITALEASE.

 

Le vicende ricollegabili a Banca Italease sono state oggetto della sentenza del GUP di Milano del 3/11/2010.

Massimo Faenza, Amministratore Delegato di Banca Italease S.p.A. e Antonio Ferraris, Direttore Generale e Responsabile dell’Area Finanza della medesima erano stati rinviati a giudizio e condannati, in altro processo, per i delitti di manipolazione del mercato, ostacolo alle funzioni di vigilanza, false comunicazioni sociali.

A Banca Italease S.p.A., in un diverso procedimento, è stata contestata la responsabilità da reato ai sensi dell’art. 25 ter lett. c), r) e s) del D.Lgs. n. 231/01 per gli illeciti amministrativi derivanti dai predetti delitti posti in essere, nell’interesse della società, proprio dal Faenza e dal Ferraris. Giova, anzitutto, ripercorrere per sommi capi i fatti che sono all’origine del processo.

 

3.1. LA VICENDA.

 

La vicenda concerne la conclusione di contratti derivati OTC (acronimo di over the counter) da parte di Italease, contratti caratterizzati da complessità operativa ed elevata rischiosità per l’istituto bancario e per la clientela, solo in parte bilanciate da una iniziale vantaggiosità, più apparente che reale.

Secondo l’accusa il ricorso esasperato a questa forma di contratto era avvenuto mascherando la rischiosità dello strumento finanziario, così eludendo l’attività di controllo di Banca d’Italia e della Consob ed esponendo nei bilanci della banca e nelle relative note integrative fatti non corrispondenti al vero ovvero omettendo informazioni la cui comunicazione è imposta per legge.

La diffusione di notizie false sulla situazione, patrimoniale e finanziaria della società aveva provocato una sensibile alterazione del prezzo ufficiale del titolo, cresciuto artificiosamente del 564% dal 6/2005 al 4/2007.

 

 

3.2. LA SENTENZA.

 

Il Giudice per l’udienza preliminare presso il Tribunale di Milano ha articolato il proprio ragionamento secondo questo schema: 1. analisi delle prove dei reati attribuiti agli imputati; 2. ricerca dell’interesse e vantaggio, per la banca, in conseguenza della accertata sussistenza dei reati contestati agli imputati; 3. esame dei controlli e delle procedure predisposte dalla banca al fine di evitare la commissione di illeciti come quelli accertati; 4. sanzioni.

 

Il percorso è coerente con il sistema delineato dal d. lgs. 231/2001: in esso, come visto, l’illecito dell’ente è strutturato su una fattispecie complessa, costituta sul piano oggettivo da due elementi essenziali a) la realizzazione del reato presupposto e b) la commissione del reato nell’interesse o a vantaggio dell’ente e, sul piano soggettivo, c) dalla colpa dell’organizzazione, da individuare, nella mancata o inidonea predisposizione di protocolli, controlli delle attività poste in essere dagli appartenenti all’ente.

 

3.2.1. Il reato di falsità nelle comunicazioni sociali ai danni della società, dei soci e dei creditori.

 

Il Giudice per l’udienza preliminare, dunque, inizia ad esaminare le prove del reato di falsità nelle comunicazioni sociali ai danni della società, dei soci e dei creditori.

A tale proposito dai rilievi della Banca d’Italia, da quelli della Consob nella relazione sui “Bilanci d’esercizio e consolidato al 31 dicembre 2006” e da quelli dei consulenti dell’accusa è stata tratta la prova che la elevata rischiosità della operatività in derivati OTC over the counter della banca fosse stata occultata in bilancio e che fosse stato indicato un fair value di tali strumenti finanziari scorretto alla stregua dei principi di bilancio all’epoca generalmente accolti.

In ragioni di tali gravi anomalie, scrive il Giudice parafrasando la Consob, “i bilanci 2006 di Banca Italease non rappresentano fedelmente ed attendibilmente la situazione economico-patrimoniale della Società al 31 dicembre 2006”.

Le falsità delle comunicazioni sociali hanno cagionato un danno patrimoniale, reputazionale e legale per la stessa società, evidenziato dalla sentenza.

Quanto alla volontà di tenere i suddetti comportamenti, la sentenza osserva che il dolo del Faenza e del Ferraris è ampiamente provato, poiché i due erano pienamente consapevoli della natura della operatività in derivati OTC della banca (e dei gravi rischi insiti nella stessa) e, pertanto, della mendacità delle informazioni e delle contabilizzazioni riportate in bilancio.

La finalizzazione della condotta delittuosa al perseguimento di un ingiusto profitto per Banca Italease è dimostrata dai rilievi della Banca d’Italia, della Consob, dei consulenti dell’accusa e del consulente di Banca Italease in ordine ai rilevanti effetti positivi sui margini della banca e sul corso del titolo azionario determinati dall’operatività connessa all’area dei derivati (ed all’occultamento al mercato ed ai soci dei gravi rischi insiti nella medesima).

 

3.2.2. Il reato di delitto di manipolazione del mercato.

 

Passando all’esame del delitto di manipolazione del mercato in sentenza si osserva che gli elementi probatori acquisiti evidenziano come Banca Italease non abbia fornito in bilancio e nei comunicati le informazioni necessarie per la comprensione dei rischi di credito collegati alla operatività in strumenti finanziari e abbia dato una informativa fuorviante sugli importi incassati per effetto della conclusione dei derivati: le descrizioni relative a questi, mentre da un lato evidenziavano il loro contributo all’utile di esercizio non spiegavano la loro reale natura economica ed occultavano i rischi correlati al loro riconoscimento da parte delle banche prodotto.

Il carattere suggestivo delle informazioni mendaci diffuse al mercato dal Faenza e dal Ferraris è, altresì, dimostrato dall’andamento del titolo della banca cresciuto nella misura del 564% dal 9.6.2005, data di prima negoziazione, al 17.4.2007 data di approvazione del bilancio 2006, passando da €. 10,88 a quello di €. 52,28.

Per quanto concerne il poi, il dolo degli imputati, esso sussiste in quanto Raenza e Ferraris, osserva il Giudice, erano consapevoli della natura della operatività in derivati OTC della banca (e dei gravi rischi insiti nella stessa) e, pertanto del carattere mendace delle comunicazioni al mercato sull’ attenta gestione dei rischi e in ordine alla gestione sociale.

 

3.2.3. Il reato di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia.

 

Gli imputati, secondo quanto ricostruito in sentenza, hanno rappresentato alla Banca d’Italia, in occasione della richiesta di autorizzazione alla negoziazione per conto proprio di strumenti finanziari derivati datata 3.11.2006 e nella nota integrativa al bilancio dell’esercizio chiuso il 31.12.2006, fatti non conformi al vero sulle caratteristiche dei contratti derivati conclusi dalla banca medesima e sulla organizzazione dell’istituto circa la predisposizione di un assetto organizzativo idoneo a garantire gli investitori sui rischi.

In particolare hanno rappresentato agli organi di vigilanza i contratti derivati conclusi come operazioni con esclusive finalità di copertura dei rischi della clientela, senza evidenziare le componenti che introducevano nei contratti medesimi fattori di elevata rischiosità, che li rendevano del tutto inadatti alle predette finalità di copertura.

Nella relazione ispettiva si acclara che anche nell’ambito delle segnalazioni trimestrali di vigilanza alla Banca d’Italia sulla concentrazione dei rischi, riferite al primo e al secondo trimestre 2005, trasmesse da Banca Italease S.p.A. quale capogruppo del Gruppo Banca Italease erano esposti fatti non rispondenti al vero sulla situazione patrimoniale o finanziaria del Gruppo ovvero allo stesso fine erano occultati fatti che avrebbe dovuto essere comunicati.

Nella relazione di ispezione della Banca d’Italia si evidenzia, inoltre, che “il flusso segnaletico risulta caratterizzato dalla presenza di errori e di omissioni di tipo sistematico”.

 

3.2.4. La problematica concernente l’INTERESSE ed il VANTAGGIO di Banca Italease in conseguenza dei reati commessi dal Faenza e dal Ferraris.

 

Provata la responsabilità degli imputati per i reati contestati, nei termini più sopra ricordati, secondo il Giudice “la redazione del bilancio falso e la diffusione di false informazioni al mercato sono state poste in essere da dirigenti apicali (Faenza e Ferraris) nell’interesse di Banca Italease S.p.A., in quanto sussiste un evidente nesso tra tali condotte e la cura dello scopo sociale (ancorché perseguita a mezzo di strumenti illeciti).”

Si legge in sentenza: “…il valore del titolo è cresciuto nella misura del 564% dal 9.6.2005, data di prima negoziazione, al 17.4.2007, data di approvazione del bilancio 2006, passando da €. 10,88 a quello di €. 52,28.

In tale contesto …risulta evidente come le false comunicazioni sociali siano state poste in essere dal Faenza e dai dirigenti apicali della banca al fine di coonestare una solidità patrimoniale e finanziaria della banca invero insussistente e, comunque, minata da gravi deficit strutturali.

L’imponente sviluppo della redditività di Banca Italease è, infatti, stato in parte cospicua ascrivibile alla operatività in derivati over the counter… Analogamente le condotte di diffusione di notizie mendaci al mercato sulla situazione economica, patrimoniale e finanziaria della società era finalizzata a provocare una sensibile alterazione del prezzo ufficiale del titolo azionario…; in particolare veniva reiteratamente enfatizzato l’incremento dei ricavi, degli utili e delle commissioni nette, il contenimento e l’attenta gestione dei rischi, ed in genere la corretta gestione sociale.

Tali comunicati, tuttavia, occultavano il correlativo ed ingente rischio di credito, così fornendo al mercato una falsa rappresentazione dell’origine di parte rilevante di talii ricavi, rivenenti dall’operatività in derivati (72% dell’utile aziendale nel 2006).

Parimenti le condotte di ostacolo alle funzioni di vigilanza sono state poste in essere al fine di dissimulare le gravi irregolarità poste in essere dagli organi gestori… e continuare a presentare al mercato ed alla Consob ed alla Banca d’Italia condizioni patrimoniali e di gestione mendaci.

Tali condotte criminose hanno, inoltre, prodotto un indubbio vantaggio patrimoniale per la banca.

La incongruità degli accantonamenti deliberati (8,3 mln. in chiusura di bilancio 2006), in presenza di strumenti finanziari ad alto livello di complessità e rischiosità, ha consentito alla banca di lucrare un indebito vantaggio… “.

Parimenti, scrive ancora il G.U.P., la sistematica diffusione al mercato di comunicati contenenti notizie false ha concretato un indebito sostegno per il titolo di Banca Italease S.p.A. ed ha consentito alla Banca di palesare sul mercato una patrimonializzazione ed una redditività artificiose “che la hanno indubbiamente avvantaggiata nei rapporti con gli azionisti, con i creditori ed i terzi.

 

3.2.5. La problematica concernente la COLPA NELL’ORGANIZZAZIONE.

 

Stabilito, dunque, che le prove raccolte dall’Accusa a sostengo del delitto di falsità nelle comunicazioni sociali ai danni della società, dei soci e dei creditori, del delitto di manipolazione del mercato e di quello di ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia sono sufficienti e che tali condotte hanno determinato un indubbio vantaggio ed un concreto interesse per l’istituto bancario, si tratta di affrontare il profilo della colpa del medesimo.

 

La colpevolezza dell’ente è stata messa in discussione dalla difesa sotto due profili: A) la mancanza di indicazioni nell’art. 6 d. lgs. 231/2001 sul contenuto o sul grado di specificità dei modelli organizzativi che, se adottati ed efficacemente attuati, esonerano la persona giuridica dalla responsabilità conseguente al reato; B) l’esistenza di comportamenti fraudolenti dei vertici di Banca Italease, che hanno impedito al sistema di controllo interno di intercettare i tipici segnali di rischio della commissione degli illeciti.

 

Entrambi i profili sono stati respinti.

 

Quanto alla prima argomentazione, il Giudice ha affermato che è destituito di fondamento l’argomento secondo cui la “colpa dell’organizzazione” è un concetto indeterminato, al punto che l’ente intenzionato a conformarsi al contenuto del d. lsg. 231/2001, adottando idonei modelli organizzativi, in concreto non è in grado di reperire né parametri normativi né indicazioni giurisprudenziali su cui costruire regole di comportamento (oggetto di – eventuale – successiva violazione da parte dell’ente). Al contrario: secondo il Giudice per l’udienza preliminare, la previsione di una “colpa dell’organizzazione” è perfettamente in linea con le tendenze evolutive dell’ordinamento. A tale proposito in sentenza sono stati riprodotti numerosi spunti normativi che, nel corso del tempo, hanno valorizzato il dovere degli enti di adottare misure idonee a prevenire il compimento di reati ed a scongiurare la responsabilità dell’ente.

 

Prima di elencarli, però, in sentenza si evidenzia che la doglianza in esame, a ben vedere, non ha alcun pregio, in quanto Banca Italease S.p.A. non ha prodotto i modelli di organizzazione e gestione dell’ente, limitandosi a mettere a disposizione del Giudice copia del Modello Organizzativo ex d.lgs. 231/2001 di Banca Italease, del Codice Etico e dei regolamenti e delle procedure aziendali vigenti all’epoca dei fatti.

Tale comportamento non è sufficiente: secondo il Giudice, la prova della esimente di cui all’art. 6 D.Lgs. 231/01 non è stata raggiunta poiché alla difesa incombe l’onere della prova non solo della idoneità del modello adottato, ma anche della sua efficace attuazione. Ed in questo caso ciò non è avvenuto.

 

Chiarito ciò, gli spunti offerti in sentenza per enucleare regole di comportamento – in ambito bancario – sulle quali ricostruire un modello organizzativo sono numerosi. L’art. 2381, comma quinto, c.c., ad esempio, attribuisce agli organi delegati il compito di curare che l’assetto organizzativo amministrativo e contabile sia adeguato alla natura ed alle dimensioni dell’impresa ed al consiglio di amministrazione il compito di valutarne l’adeguatezza sulla base delle informazioni ricevute.

L’art. 2403, comma primo, c.c., inoltre, stabilisce che il collegio sindacale vigila sull’osservanza delle legge e dello statuto nonché sul rispetto dei principi di corretta amministrazione, con particolare riguardo alla adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento.

 

Stringenti doveri di predisposizione di assetti organizzativi e procedurali sono, poi, stabiliti per le società che esercitano attività bancaria da una pluralità di fonti primarie e sub primarie.

Le Istruzioni di Vigilanza per le Banche emanate dalla Banca d’Italia contenevano un apposito capitolo dedicato al Sistema dei controlli interni, compiti del collegio sindacale, nel quale è nitidamente scolpita la centralità del sistema di controllo interno ed il rispetto della legge è considerato come una delle condizioni essenziali per la “competitività della banca, la sua stabilità di medio e lungo periodo, la possibilità stessa che sia garantita una gestione sana e prudente” (Titolo IV, Capitolo 11, p.1).

Le nuove disposizioni del Testo Unico della Finanza, inoltre, prevedono l’emanazione di un regolamento di Banca d’Italia e di Consob volto a disciplinare congiuntamente, tra l’altro, i requisiti generali di organizzazione, l’organizzazione amministrativa e contabile, compresa l’istituzione della funzione di controllo della conformità alle norme, la gestione del rischio dell’impresa e l’audit interno.

 

Sul piano autoregolamentare, inoltre, l’assetto dei controlli e la sua efficiente predisposizione costituiscono uno degli aspetti principali sui quali interviene il Codice di autodisciplina delle società quotate (che prevede, tra l’altro, l’adozione di un sistema di controllo interno inteso come “l’insieme delle regole, delle procedure e delle strutture organizzative volte a consentire, attraverso un adeguato processo di identificazione, misurazione, gestione e monitoraggio dei principali rischi, una conduzione dell’impresa sana, corretta e coerente con gli obiettivi prefissati”).

 

Il complesso di tale disciplina, si legge in sentenza, rende evidente la cornice sistematica in cui deve essere collocato il dovere per le società di autoorganizzazione ed anche l’onere di adottare modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/01.

 

Il contenuto del dovere di auto-organizzazione dell’ente (e dell’onere di adottare modelli organizzativi ex D.Lgs. 231/01), d’altra parte, è precisato da un ampio compendio di fonti normative primarie e sub primarie, da codici di autodisciplina e da guidelines emesse dalle associazioni di categoria che indicano il contenuto delle misure di prevenzione.

A titolo meramente esemplificativo possono, peraltro, rammentarsi alcune disposizioni che riguardano specificamente le contestazioni mosse a Banca Italease e che costituiscono parametri normativi certi e giuridicamente vincolanti per l’adozione di efficaci modelli organizzativi con riferimento agli specifici delitti presupposti per cui si procede in tale sede.

Il testo vigente dell’art. 2428 c.c. impone, ad esempio, agli amministratori di indicare nella relazione al bilancio di esercizio anche“i principali rischi e incertezze cui la società è esposta” precisando altresì “in relazione all’uso da parte della società di strumenti finanziari e se rilevanti per la valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell’esercizio:

  1. a) gli obiettivi e le politiche della società in materia di gestione del rischio finanziario, compresa la politica di copertura per

ciascuna principale categoria di operazioni previste;

  1. b) l’esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi

finanziari”.

Le Linee guida dell’Associazione Bancaria Italiana per l’adozione di modelli organizzativi sulla responsabilità amministrativa delle banche, edite nel febbraio 2004, con riferimento ai reati societari espressamente prevedono che “la banca, per essere destinataria di una disciplina speciale ad hoc, si pone comunque in una posizione privilegiata rispetto alle altre società.

La normativa speciale, infatti, impone la procedimentalizzazione dell’intera fase di formazione di tali documenti, rendendo il processo documentato e vigilato. Il bilancio non solo rappresenta il documento necessario a fornire le informazioni ai terzi in merito alla situazione patrimoniale e finanziaria ed al risultato della gestione svolta, ma costituisce altresì l’aggregato principale per la regolamentazione di vigilanza prudenziale. In altri termini, il bilancio di una banca costituisce allo stesso tempo “strumento di trasparenza informativa” e “strumento di vigilanza bancaria”.

Tale specifica funzione fa sì, appunto, che il bilancio delle banche sia soggetto a norme ulteriori, sia comunitarie che nazionali, che prevedono regole di contabilizzazione e criteri di valutazione del tutto particolari rispetto a quelli degli altri tipi di società. La peculiarità della disciplina del bilancio delle società bancaria si concretizza, infine, nelle attribuzioni conferite dalla legge al CICR ed alla Banca d’Italia – le cui Istruzioni in materia sono concepite come una sorta di “Testo Unico” per la compilazione dei bilanci delle banche – che provvedono ad assegnare una disciplina tecnica degli schemi e dei contenuti del bilancio. Ciò comporta che la banca possa limitarsi ad esplicitare, nel contesto di un documento a tal fine predisposto (modello organizzativo, codice etico, codice deontologico), i principi cui tutti i soggetti che operano per suo conto devono ispirarsi nell’esercizio delle proprie funzioni, di fatto ribadendo criteri già enucleabili dalle diverse prescrizioni normative”.

E’ parimenti obbligatoria, per tutti gli intermediari finanziari, l’adozione di modelli organizzativi e di un organismo di vigilanza che permetta di individuare, prevenire e gestire il rischio di commissione di fatti manipolativi del mercato; gli artt. 180 e ssg. T.u.f. impongono, tra l’altro, agli intermediari di “segnalare senza indugio alla Consob le operazioni che, in base a ragionevoli motivi, possono ritenersi configurare una violazione delle disposizioni” di cui al Titolo I-bis della Parte V del Testo Unico (così l’art. 187-nonies, comma primo, T.u.f. integrato dagli artt. 44 e ss. del Regolamento Mercati Consob).

La disciplina secondaria delinea, inoltre, una cornice di interventi sempre più incisivi sui doveri degli intermediati abilitati all’esercizio dei servizi di investimento, in ordine alla prevenzione e gestione del rischio di inosservanza di leggi e regolamenti,

codificati da organismi internazionali (documenti del Comitato di Basilea e dalla IOSCO), dalla disciplina comunitaria (Direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per le banche e Direttive MIFID per i servizi di investimento) ed integrati da prescrizioni del legislatore nazionale adottate in attuazione di queste ultime (D.L. n.297/2006 e D.Lgs. n.164/2007).

 

La sentenza conclude sul punto, scrivendo che: “In tale contesto normativo si rivela, pertanto, fallace l’asserto secondo il quale il contenuto dei modelli organizzativi sarebbe indeterminato, in quanto il legislatore agli artt. 6 e 7 del D.Lgs. 231/01 delinea un contenuto tipico degli stessi e ciascun ente può mutuare le prescrizioni organizzative di dettaglio dall’insieme della disciplina primaria e sub-primaria di settore, dagli atti di autoregolamentazione vigenti e dalle linee guida emanate dalle associazioni di settore”.

 

Venendo al secondo argomento posto dalla difesa a sostegno della mancanza di colpa, il Giudice dell’udienza preliminare afferma che l’asserto secondo il quale i comportamenti fraudolenti dei dirigenti apicali della banca avrebbero impedito al sistema di controllo interno di intercettare i tipici segnali di rischio della commissione degli illeciti (e, pertanto, sarebbe stata inesigibile in concreto una diversa condotta organizzativa dell’ente) è radicalmente infondato.

Sul punto si legge che: “Il compendio probatorio agli atti dimostra con assoluto nitore come l’assetto organizzativo di Banca Italease S.p.A. all’epoca dei fatti per cui si procede fosse gravemente lacunoso………… e pertanto, radicalmente inidoneo a prevenire la commissione di reati della specie di quelli verificatisi.

Le estese carenze dei sistemi di controllo interno e le disfunzioni del loro funzionamento non hanno, infatti, consentito di evidenziare alcuno degli evidenti elementi sintomatici del rischio di reato e, pertanto, non consentono di affermare fondatamente la estraneità di Banca Italease….” [15].

 

Sulla base di questi presupposti è stata respinta la deduzione difensiva secondo la quale gli illeciti accertati non sarebbero addebitabili all’ente, in quanto l’Amministratore Delegato ed i suoi sodali avrebbero aggirato in modo illegittimo la normativa ed i sistemi di controllo.

A parere del Primo Giudice, non sono stati l’Amministratore Delegato ed il Direttore Generale ad eludere fraudolentemente il sistema dei controlli interni: gli imputati hanno solo approfittato, a fini illeciti, di una situazione dei presidi interni a Banca Italease S.p.A. connotata da diffusi elementi di opacità, dalla assoluta inadeguatezza dei controlli e dalla mancanza di una basilare dialettica interna.

Non ricorre, pertanto, la figura della elusione fraudolenta del modello organizzativo, in quanto la stessa presuppone l’avvenuta adozione e l’efficace attuazione di un modello organizzativo e la costituzione di un organismo di vigilanza (circostanza non comprovata nel caso di specie).

 

La elusione fraudolenta del modello organizzativo costituisce, del resto, solo un frammento della più ampia esimente tipizzata dall’art. 6, comma primo, D.Lgs. 231/01 che consente all’ente di dissociarsi dai propri apicali e che postula la prova che l’organo dirigente abbia adottato ed efficacemente attuato un modello di organizzazione idoneo a prevenire i reati della specie di quello verificatosi, che sia stato affidato ad un organismo, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, il compito di vigilare sul funzionamento e l’osservanza del modello e che non vi sia stata omessa o insufficiente vigilanza da parte dell’organismo. Tutti passaggi indimostrati, in questa vicenda, da Banca Italease S.p.a. .

 

3.2.6. Le statuizioni sanzionatorie.

 

La responsabilità amministrativa da reato di Banca Italease S.p.A. è stata affermata per gli illeciti di cui agli artt. 25 ter lett. c), r) ed s) del D.Lgs. n. 231/01 in relazione ai delitti di falsità nel bilancio, di manipolazione del mercato e ostacolo alle funzioni di vigilanza della Banca d’Italia commessi dal Faenza e dal Ferraris nell’interesse ed a vantaggio di Banca Italease stessa.

 

Il Giudice ha ritenuto che: “Nella determinazione del numero delle quote la pena deve essere commisurata in coincidenza del massimo edittale, ………….

La gravità degli illeciti dipendenti da reato è indubbia, come è dimostrato dalla platea estremamente ampia dei soggetti costituitisi parte civile nel procedimento penale pendente nei confronti delle persone fisiche e dall’elevata entità dei danni cagionati alle parti lese.

Il danno cagionato agli azionisti è stato, peraltro, particolarmente diffuso. Per converso il vantaggio che Banca Italease ha tratto dagli illeciti amministrativi accertati è stato certamente elevato.

… Il grado della responsabilità dell’ente è parimenti elevatissimo: l’istruttoria ha dimostrato come gli illeciti amministrativi per cui si procede abbiano costituito diretta espressione della politica aziendale dell’ente nel periodo di riferimento e che l’assetto organizzativo di Banca Italease era connotato da gravi lacune ed ampie aree di ineffettività.

La colpevolezza di organizzazione della banca ha, pertanto, consentito all’Amministratore Delegato ed al Direttore Generale di porre in essere gravissime condotte criminose senza incontrare alcun serio ostacolo nelle norme organizzative dell’ente.

Alla luce di questi rilievi la sanzione pecuniaria è stata complessivamente determinata in 1800 quote e l’importo di ciascuna quota è stato determinato in 1.549 € per una sanzione di euro 2.788.200, ridotta per la diminuente per il rito abbreviato ad €. 1.858.800.

Il Giudice, inoltre, ha ritenuto che il meccanismo correlato alla stipulazione di contratti derivati OTC abbia consentito alla banca di lucrare (e di rendere liquida) una somma che, al contrario, si sarebbe dovuta indicare in bilancio e che sarebbe risultata vincolata ex lege e non altrimenti disponibile per l’ente.

Alla stregua dei rilievi che precedono, pertanto, è stata disposta, ai sensi dell’art. 19, comma secondo, D.Lgs. 231/01 la confisca per equivalente della somma di euro 64.200.000,00 nei confronti di Banca Italease S.p.A., oltre interessi legali.

 

                       

  1. PARMALAT E LA RESPONSABILITA’ DELLE BANCHE EX D. LGS. 231/2001

 

Con la sentenza pronunziata in data 18/4/2011, il Tribunale di Milano, seconda sezione penale, ha ricostruito i rapporti intercorsi tra la Parmalat S.p.A. e numerosi istituti di credito (Morgan Stanley Bank, Morgan Stanley e Co. Intern. LTD, Credit Suisse International, Credit Suisse Securities, Deutsche Bank s.p.a, Deutsche Bank Capital Markets, Deutsche Bank Ag. London) in occasione di emissioni obbligazionarie che avevano interessato l’azienda di Collecchio ed i predetti soggetti.

 

L’analisi era mirata ad accertare la eventualmente avvenuta commissione da parte degli imputati – dipendenti delle predette banche – del reato di aggiotaggio informativo, rientrante nell’elenco contenuto nel d. lgs. 231/2001: ciò in vista di un ulteriore accertamento di responsabilità – amministrativa – in capo agli istituti bancari, ai sensi della menzionata normativa (secondo lo schema di funzionamento di questa forma di responsabilità delineato in precedenza).

 

Le stesse vicende sottoposte all’attenzione del Tribunale erano già state oggetto di altri processi, conclusi con sentenze di condanna, in alcuni casi ormai definitive, a carico del gruppo dirigente di Parmalat, ritenuto responsabile del reato di aggiotaggio.

 

Premessi alcuni cenni sul reato di aggiotaggio e sul concorso di persone nel reato, per inquadrare i rapporti tra i vertici di Parmalat ed i dipendenti delle banche, il Tribunale, nelle oltre settanta pagine di motivazione, ha ricostruito ogni singola vicenda di emissione obbligazionaria, al fine di confrontarne la reale struttura con le descrizioni diffuse sul mercato da Parmalat attraverso comunicati ad hoc. All’esito di tale confronto è stato analizzato il problema della responsabilità delle informazioni decettive propalate.

L’ottica, come detto, era di accertare se anche i dipendenti degli istituti di credito fossero personalmente responsabili del reato di aggiotaggio informativo (già riconosciuto in capo al gruppo dirigente di Parmalat), con il che si sarebbe verificata la prima delle condizioni richieste dal d. lgs. 231/2001 per delineare la responsabilità amministrativa della banca.

 

4.1 L’AGGIOTAGGIO INFORMATIVO

            A mente dell’art. 2637 del codice civile – norma vigente all’epoca dei fatti ed oggi riferita solo più ai titoli non quotati –: “Chiunque diffonde notizie false, ovvero pone in essere operazioni simulate od altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari, quotati o non quotati, ovvero ad incidere in modo significativo sull’affidamento che il pubblico ripone nella stabilità patrimoniale di banche o di gruppi bancari è punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni”.

La condotta del reato in esame deve esplicarsi in una positiva comunicazione, sicché non basta ad integrare il reato un comportamento meramente omissivo. L’alterazione della realtà, che deve essere destinata ad un numero indiscriminato di soggetti, può concretizzarsi in due condotte: A) enunciazione di fatti non veri in assoluto o B) rappresentazione fuorviante – carente di aspetti significativi – di un fatto vero (ad esempio, notizie fornite con dati incompleti).

L’aggiotaggio informativo è un reato di pericolo concreto: per configurarsi, cioé, la condotta deve avere concreta idoneità a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari. La valutazione dell’idoneità va fatta analizzando le possibili ricadute delle informazioni decettive nel contesto storico nel quale sono state propalate. Rientrano nella previsione del reato, secondo il Tribunale di Milano, anche quelle condotte che, per il loro contenuto artificiosamente positivo rispetto alla situazione reale, siano idonee a mantenere un livello costante del valore di un determinato prodotto finanziario, che altrimenti si sarebbe deprezzato.

Il bene che il reato intende tutelare è il corretto funzionamento del mercato: esso è lo spazio ideale nel quale le imprese attingono i mezzi finanziari per svilupparsi ed in cui i singoli investitori interessati fanno confluire denaro alle imprese medesime. In tale contesto sono necessarie regole di trasparenza e completezza delle informazioni, al fine di garantire libertà di scelte e di scambi ed i indispensabile che queste siano adeguatamente osservate. Nel nostro ordinamento numerose norme disciplinano l’obbligo di corretta informazione: dal codice civile, al Testo Unico della Finanza (TUF), al Testo Unico Bancario (TUB), alla normativa Consob per finire alle norma regolamentari di ciascun prodotto finanziario. L’oggetto delle informazioni, come noto, attiene: 1. gli elementi costitutivi della società; 2. la sua consistenza patrimoniale; 3. l’andamento della propria gestione (bilanci, relazioni trimestrali o semestrali); 4. l’obbligo, previsto all’epoca dei fatti dall’art. 114 TUF – ed oggi ribadito nell’art. 181 TUF – di comunicare fatti propri o delle controllate, idonei, se resi pubblici, ad influenzare sensibilmente il prezzo degli strumenti finanziari.

 

In questo contesto va collocato il ruolo degli “intermediari finanziari” (le banche): essi hanno il compito di garantire la corretta gestione dei flussi finanziari tra imprese e risparmiatori nonché la correttezza delle informazioni rilevanti per operare le scelte di investimento. La normativa di riferimento, per tali intermediari, è data dagli artt. 21 e seg. del TUF, dalle norme regolamentari della Consob e dal TUB.

 

4.2. Il CONCORSO di PERSONE nel reato.

 

Dal tenore dei capi d’imputazione, che configurano una comune partecipazione alla propalazione delle false informazioni tanto a carico dei dirigenti di Parmalat quanto in capo ai dipendenti degli istituti bancari, consegue la necessità di svolgere alcune considerazioni sul concorso di persone nel reato.

 

Gli elementi costitutivi fondamentali del medesimo sono dal punto di vista oggettivo: A) pluralità di agenti; B) commissione di un fatto-reato; C) contributo – morale o materiale – dei concorrenti. Dal punto di vista soggettivo è richiesta la coscienza e volontà di porre in essere un fatto illecito e di arrecare un contributo concursuale alla sua realizzazione.

 

Un profilo che assume particolare rilievo nella presente vicenda è quello concernente l’identificazione del contributo idoneo a fondare la responsabilità: al riguardo si può avere un contributo che consiste nella istigazione o nel rafforzamento dell’altrui proposito criminoso (concorso morale) o un contributo partecipativo positivo (concorso materiale), che – secondo la giurisprudenza più accreditata – pone al giudice l’obbligo di precisare la forma sotto cui l’attività del soggetto sia in rapporto di causalità efficiente con quella degli altri.

 

Prima di addentrarsi nell’esame della vicenda processuale occorre premettere ancora alcuni indispensabili cenni – fondamentali per comprendere l’intera questione nei suoi dettagli – sui corporate bond e gli eurobond.

 

            4.3. I CORPORATE BOND e gli EUROBOND

 

I corporate bond sono titoli obbligazionari che non devono soggiacere alle regole delle obbligazioni ordinarie o convertibili. La loro emissione richiede l’apporto di un intermediario finanziario qualificato (una banca), e deve essere comunicata al mercato ai sensi dell’art. 114 TUF ed alla Banca d’Italia, ai sensi dell’art. 129 TUB, in quanto strumenti finanziari destinati a fornire notizie rilevanti sulle vicende dell’emittente.

 

Gli eurobond sono titoli collocati all’estero rispetto allo stato in cui si trova l’emittente; le banche, in questo caso, ne organizzano l’emissione ed acquistano il ruolo di lead manager o arranger. I destinatari degli eurobond possono essere tanto gli investitori privati (collocamento pubblico o public placement) quanto i sottoscrittori istituzionali (underwriters). In caso di collocazione presso sottoscrittori istituzionali la loro conoscenza delle regole di mercato rende meno gravose le modalità di collocamento.

 

Premesse queste nozioni di ordine generale, occorre affrontare la disamina dei singoli capi d’imputazione e delle argomentazioni contenute in sentenza.

 

4.4. Capo B) (trascritto dalla sentenza):

 

“PAGLIANI, BASSO, imputati del delitto previsto e punito ex artt 81 cp, 110, 112 n. 1 c.p., 2637 codice civile, perché in concorso tra loro, con LANDI GIOVANNI, RATTI MARCO, VALSECCHI MARCO, CANNIZZARO ANTONIO (giudicati separatamente) e con altri funzionari di NEXTRA e di Morgan Stanley, non ancora identificati (nonché in concorso con TANZI CALISTO TANZI STEFANO, TANZI GIOVANNI, TONNA FAUSTO, DEL SOLDATO LUCIANO, BARILSLI DOMENICO, GIUFFREDI FRANCESCO, FERRARIS ALBERTO, SILINGARDI LUCIANO, VISCONTI PAOLA, MISTRANGELO PIERO, SCIUME’ PAOLO, BARACHINI ENRICO, BRUGHERA MARIO, FERRETTI ORESTE, NUTI MASSIMO, BONICI GIOVANNI, BOCCHI GIANFRANCO, PESSINA CLAUDIO, PETRUCCI ANDREA, GORRERI FRANCO, MAMOLI ADOLFO, ROVELLI GIUSEPPE, PENCA LORENZO, BIANCHI MAURIZIO, ZINI GIAN PAOLO, nei cui confronti si è proceduto separatamente), e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso:

 

– LANDI, quale amministratore delegato di NEXTRA mv. Mang. SOR spa;

– RATTI, quale responsabile Area Strategia ed Investimenti di NEXTRA mv. Mang. SGR spa;

– VALSECCHI, quale addetto al servizio Obbligazioni di NEXTRA Inv. Mang. SGR spa;

– CANNIZZARO, quale addetto al servizio Obbligazioni di NEXTRA Inv. Mang. SGR spa;

– PAGLIANI, quale responsabile della branch per l’attività, bancaria presso Morgan Stanley Dean Bitter Bank Ltd di Milano;

– BASSO quale Vice President di Morgan Stanley — Global Capital Markets di Londra, avendo, altresì, Nextra la necessità di smobilizzare un pacchetto di azioni Parmalat superiore al 2% (possesso non dichiarato alla Consob), diffondevano, in tempi diversi ed anche per il tramite della sede amministrativa di Milano della Parmalat Finanziaria spa, notizie false sulla emissione, del 10 luglio 2003, del bond del valore nominale di 300 milioni di euro, emesso da PARMALAT FINANCE CORPORATION BV, (e garantito da Parmalat spa), idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo dei titoli Parnialat quotati alla Borsa Valori di Milano e degli altri strumenti finanziari (bonds) emessi dalla Parmalat o collegati al suo rischio (credit default swap).

 

In particolare, diffondevano dati e informazioni false:

 

  1. indicando, nel comunicato stampa del 18.6.2003, con riferimento al “prestito del valore di 300 milioni, su un unico investitore istituzionale, con scadenza 2008”, un tasso variabile indicizzato all’Euribor “maggiorato di 305 punti base», laddove, nella realtà, lo stesso risultava maggiorato, sin dall’inizio, di 350 punti base, operazione effettuata mediante la «sistemazione» della differenza (pari a euro 5,922 milioni) con un finanziamento di Morgan Stanley, a condizioni estremamente onerose per Parmalat (già. al 31.12.2003, la valutazione al mark to 500) e realizzato sotto forma di contratto- swaptiòn;
  2. nonché omettendo di comunicare l’esistenza di un covenant, cioè una garanzia aggiuntiva rispetto a quelle standard previste dal pricing supplement, e basata su un parametro finanziario, il cui mancato rispetto avrebbe comportato per Parmalat l’obbligo di riacquisto del titolo alla pari; circostanze queste che, se rese pubbliche, avrebbero dimostrato l’esistenza di un «rischio Parmalat” di gran lunga superiore a quello desumibile dai dati ufficiali e di mercato;
  3. inserendo, nel pricing supplemeat, depositato in data 10.11.2003 presso la Borsa del Lussemburgo (e conseguentemente immesso in rete e divulgato sul sito web ed avente ad oggetto la comunicazione del prezzo e delle condizioni di emissione), notizie false, quanto al prezzo di emissione, indicato nella misura deI 100% del valore nominale (pari ad uno spread Euribor + 305 punti base), anziché quello effettivo del 98,06% (pari ad uno spread effettivo di Euribor ÷ 350 punti base), così da non evidenziare al mercato che l’emissione aveva condizioni da “high yield” (cioè da emittenti aventi rating ben inferiore a quello assegnato da S&P a Parmnalat), che, essendo estremamente “price sensitive”, non erario state volutamente divulgate.

 

Condotte idonee in concreto ad alterare in modo sensibile il prezzo delle azioni e delle obbligazioni della Parmalat e dei CDS a quest’ultima riferibili.

 

Con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto concorrendo con più di cinque persone.

 

In Milano sino al dicembre 2003.”

 

In forza di tale ricostruzione al successivo capo F) della richiesta di rinvio a giudizio si legge: “ Morgan Stanley Bank Interuational Llmited Milan Branch

  1. F) responsabile dell’illecito amministrativo previsto dagli artt. 5, comma 1, lett. b), 7, 25 ter lett. 4 d. lgs. 231 / 01, per non aver — prima della commissione del fatto ascritto ai sottoposti PAGLIANI e BASSO e contestato sub capo B) della rubrica (da intendersi qui integralmente richiamato) — adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, con ciò traendo dalla condotta delittuosa dei soggetti sottoposti — i quali non hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi — un profitto di rilevante entità.

In Milano sino al dicembre del 2003.”

 

In merito a questa vicenda il Tribunale di Milano ha osservato che la redazione del comunicato del 18.6.2003 (che potrebbe, in teoria, rendere ipotizzabile un concorso materiale nel reato di aggiotaggio) è opera esclusiva di Parmalat a cui i dipendenti di Morgan Stanley furono estranei, sicché è da escludere un contributo causale materiale da parte loro alle false informazioni propalate in tale circostanza

 

Tale rilievo, però, non esaurisce tutte le argomentazioni accusatorie, in quanto secondo l’Accusa vi fu un consenso di Morgan Stanley alle comunicazioni false esposte da Parmalat, considerato che le caratteristiche del prodotto finanziario erano ben diverse da quelle descritte nel comunicato e l’istituto bancario ne era perfettamente a conoscenza. Tale argomento, tuttavia, viene respinto dal Tribunale, che osserva come non esista, in capo a Morgan Stanley, in dovere di impedire la falsa comunicazione (dovere che, se esistente, determinerebbe il concorso della banca ai sensi dell’art. 40 comma II c.p., per il principio dell’equivalenza delle condizioni). Inoltre, pur essendo certamente vero che i soggetti – come le banche – abilitati alla prestazione di servizi ed alle attività di investimento devono comportarsi con correttezza e trasparenza e devono informare i propri clienti, in questo specifico episodio il Tribunale osserva che il cliente di Morgan Stanley era Parmalat stessa, vale a dire la responsabile del comunicato contenente false informazioni. Quanto al covenant (accordo che intercorre tra un’impresa e i suoi debitori per la tutela contro i rischi di una possibile gestione disinvolta dei finanziamenti accordati), esso era stato oggetto di accordo tra Parmalat e Nextra, che ne aveva informato la Banca d’Italia. In conclusione: Parmalat non appare essere stata minimamente istigata o rafforzata nel proprio proposito criminoso, considerato che essa stessa manifestava di aver già deliberato l’azione poi posta in essere in tutti i suoi elementi decisivi.

 

Quanto alla comunicazione effettuata alla Borsa del Lussemburgo, in sentenza si afferma che l’istituto bancario non risulta aver avuto alcun ruolo in tale vicenda.

 

In definitiva, per qual che concerne la responsabilità della banca ex d. lgs. 231/2001, essa è da escludersi in quanto difetta uno dei suoi elementi costitutivi: la commissione di un fatto-reato da parte di un soggetto che rivesta posizione apicale o dipendente.

 

4.4. Capi C) ed G).

 

L’oggetto della contestazione riguarda la comunicazione data il 15/9/2003 da Parmalat al mercato in relazione all’emissione di un Bond da 350.000.000 di euro, interamente sottoscritto da Deutsche Bank.

 

In occasione di tale emissione Parmalat – in accordo con i vertici del citato istituto bancario – aveva diffuso il seguente comunicato:

 

Parmalat Finanziaria

Emesso un bond da €350 milioni interamente sottoscritto

da Deutsche Bank 7 anni, tasso fisso pari a 6,125%

 

A seguito della approvazione del Consiglio di Amministrazione della Parmalat Finanziaria sotto la presidenza del Cav. Lav. Calisto Tanzi il Gruppo Parmalat ha oggi emesso, tramite una controllata di diritto estero, un bond settennale interamente sottoscritto dalla Deutsche Elank, con una scadenza a sette anni e ad un tasso fisso pari al 6,125%, garantito da Parmalat SpA nell’ambito deI Medium Term Notes Programme al quale Standard & Poor’s ha assegnato un rating BBB-.

Il Cav. Lav. Calisto Tanzi ha commentato che “questa operazione è perfettamente in linea con quanto dichiarato in occasione della comunicazione dei dati seinestrali del Gruppo e con la politica finanziaria del Gruppo. La politica di riduzione del debito lordo richiederà sia il rimborso parziale dei prestiti bancari a breve sia il riacquisto di parte dei prestiti obbligazionari che sono in corso nei prossimi 24 mesi”.

Deutsche Bank dichiara che ha assistito il Gruppo Parmalat nel perfezionamento dell’operazione che per tipologia, durata e condizioni è stata congiuntamente considerata la più confacente alle strategie finanziarie del Gruppo, rivolgendosi, oltre a Deutsche Eank, ad un ristretto numero di investitori istituzionali.

Il Gruppo Parmalat ribadisce la propria politica di gestione del debito finanziario come evidenziato nel recente comunicato dell’11 settembre e, in particolare, che il Gruppo intende avvalersi delle opportunità dì mercato che consentano la raccolta di nuovi mezzi finanziari a condizioni vantaggiose da utilizzare per rifinanziare nel medio-lungo termine parte dell’indebitamento a breve. Il Gruppo conferma altresì la sua politica di riduzione del debito lordo utilizzando mezzi propri per € 900 milioni entro il 31 dicembre 2005”.

 

In tale documento, osserva il Tribunale, mancano gli elementi indicativi del costo finanziario sostenuto da Parmalat per effetto del’emissione, circostanza assai rilevante per il mercato, attesa l’aspettativa degli investitori di conoscere le condizioni economico- finanziarie dell’emittente.

 

Il testo, fumoso, era il risultato di una iniziale bozza incompleta e decettiva elaborata da Parmalat, corretta successivamente, non in senso veritiero, da Marco Pracca, dipendente di Deutsche Bank.

Da ciò la contestazione di cui al capo G), elevata a Deutsche Bank e DEUTSCHE Bank AG London, responsabile dell’illecito amministrativo previsto dagli artt. 5, comma. 1, lett. b), 7, 25 terlett. 4 d. lgs. 231/01, per non aver adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi (aggiotaggio informativo), con ciò traendo dalla condotta delittuosa dei soggetti sottoposti — i quali non hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi — un profitto di rilevante entità.

 

Il Tribunale ha ritenuto che la responsabilità del comunicato – come detto, frutto anche dell’apporto di un dipendente della Deutsche Bank – sia da attribuire solo a Parmalat. Ciò sulla base dell’osservazione che, ai sensi dell’art. 114 TUF, l’onere di emettere le comunicazioni dirette al mercato grava sull’emittente, in questo caso Parmalat, il che rende l’aggiotaggio un reato proprio, cioè commissibile solo dal soggetto investito dello specifico obbligo di informazione.

Secondo il Collegio, poi, non si può sostenere che esista una responsabilità dell’istituto bancario per non aver impedito la commissione del reato, non essendovi un dovere giuridico in capo ai dipendenti della Deutsche Bank di evitare comunicazioni false ed incomplete da parte di Parmalat.

La circostanza che Deutsche Bank abbia partecipato alle operazioni culminate con l’emissione del bond, secondo il Tribunale, non costituisce di per sé una condotta che contribuisca alla realizzazione del falso comunicato relativo a tale emissione, ben potendosi immaginare una emissione seguita da una comunicazione corretta.

E’ ben vero che, in questo caso, la condotta dei dipendenti di Deutsche Bank si è spinta fino alla correzione materiale del comunicato, però tale correzione, a quanto si legge, è penalmente irrilevante a titolo di concorso nel reato poiché non ha minimamente inciso sulla volontà di Parmalat di porre in essere l’illecito, volontà manifestatasi apertamente fin dalla stesura della bozza del comunicato.

 

In conclusione, per qual che concerne la responsabilità della banca ex d. lgs. 231/2001, il Tribunale osserva che essa è da escludersi in quanto difetta uno dei suoi elementi costitutivi: la commissione di un fatto-reato da parte di un soggetto che rivesta posizione apicale o dipendente.

 

4.5. Capo D).

 

L’oggetto della contestazione è stato così riassunto nel capo d’imputazione:

“BOTTA: imputato

  1. D) del delitto previsto e punito dagli 81 cpv, 110, 112 n. 1 c.p., 2637 codice civile, perché in concorso con altri funzionari di Citicorp (nonché in concorso

TANZI CALISTO, TANZI STEFANO, TANZI GIOVANNI, TONNA FAUSTO, DEL SOLDATO LUCIANO, BAR1LLI DOMENICO, GIUFFREDI FRANCESCO, FERRARIS ALBERTO, SILINGARDI LUCIANO, VISCONTI PAOLA, MISTRANGELO PIERO, SCIUME’ PAOLO,BARACHINI ENRICO, BRUGHERA MARIO, FERREYI ORESTE, NUTI MASSIMO, BONICI GIOVANNI, BOCCHI GEANFRANCO, PESSINA CLAUDIO, PETRUCCI ANDREA, GORRERI FRANCO, MAMOLI ADOLFO, ROVELLI GIUSEPPE, PENCA LORENZO, BIANCHI MAURIZIO, ZINI GIAN PAOLO nei cui confronti si è proceduto separatamente), e con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso:

  1. BOTTA, quale Relationship manager della Citibank N.A., succursale di Milano — responsabile della gestione ordinaria delle relazioni con il gruppo Parmalat,

diffondeva, in tempi diversi ed anche per il tramite della sede amministrativa di Milano della Parmalat Finanziaria spa, notizie false sull”operazione Canada” (organizzazione di una partnership tra Banca e gruppo Parmaiat, per la costituzione ed il finanziamento di PARMALAT CANADA e successivo acquisto di due importanti società operative, BEATRICE F000S e AULTFOOD LTD), sul «contratto di associazione in partecipazione denominato Buco Nero” e sul programma di c.d. “cartolarizzazione” dei crediti Parmalat (attuato con la società «veicolo” Archimede Securitisation spa) idonee a provocare una sensibile alterazione del prezzo dei titoli Parrnalat quotati alla Borsa Valori di Milano e degli altri strumenti finanziari (bond) emessi dalla Parmalat o collegati al suo rischio (credit defauk swap), in quanto preordinate a mascherare al mercato la loro reale natura di operazioni di finanziamento in modo da occultare la effettiva situazione finanziaria e debitoria del gruppo nonché consentirgli di non superare i limiti patrimoniali e finanziari previsti dai covenants in essere ed i rating (equity e debiti), che, altrimenti, sarebbe stato di livello più basso (speculative grade).

In particolare:

  1. presentava al mercato la suddetta operazione “Canada”, iniziata nel 1997 e chiusa nel 2002, come un’operazione di equity (come si legge nell’articolo del Sole 24-Ore del 22 marzo 1997, che riporta le sèguenti dichiarazioni di Citibank: “Era cosi vantaggiosa che siamo entrati dentro l’affare comprando il 24,9%: Naturalmente -ha detto il dirigente di Citicorp.. la nostra è un ‘operazione finanziaria che, nel medio e lungo termine, sarà dismessa. Forse con un collocamento sul mercato. Sulla quota della banca statunitense c’è la prelazione della Parmalat pronta ad acquistarla”), che invece mascherava un vero e proprio finanziamento concesso, peraltro, a condizioni particolarmente onerose;
  2. ribadiva, nel comunicato stampa del 21.11.2003, di Parmalat Finanziaria, la natura di associazione in partecipazione dell’operazione “Buco Nero» (il gruppo Parrnalat “precisa i termini dell’operazione di Associazione in partecipazione stipulata tra la controllata Geslat Srl, una società di diritto italiano, e la società Buconero LLC, posseduta e consolidata interamente dal Gruppo Citicorp. Precisa peraltro che i termini principali di quest’operazione sono contenuti nei bilanci della società fin dal 1999 e quindi le informazioni sono pubblicamente disponibili”), nonostante che Citicorp, a partire dal 2000, l’avesse segnalata alla Centrale Rischi di banca d’italia come finanziamento;
  3. ribadiva, nei comunicati stampa relativi ai bilanci, dal 2000 in poi, del gruppo Parmalat, l’attuazione di un programma di c.d. cartolarizzazjone dei crediti Parrnalat, non eseguita ai sensi della L. 130/99 e non segnalata alla Centrale Rischi della Banca d’italia (in violazione dell’art. 53, comma 2 t.u.b.), pur essendo consapevole che la gran parte dei crediti ceduti prosoluto fosse inesistente.

 

Condotte idonee in concreto ad alterare in modo sensibile il prezzo delle azioni e delle obbligazioni della Parmalat e dei CDS a ques’ultima riferibili.

 

Con le circostanze aggravanti di aver commesso il fatto concorrendo con più di cinque persone.

In Milano sino al dicembre 2003.”

 

In relazione a queste imputazioni a Citibank, di cui il BOTTA era un dipendente, veniva contestata la responsabilità per l’illecito amministrativo previsto dagli artt. 5, comma 1, lett. b), 7, 25 ter lett. r) d. lgs. 231/01, per non aver — prima della commissione del fatto ascritto al sottoposto BOTTA — adottato ed efficacemente attuato modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, con ciò traendo dalla condotta delittuosa dei soggetti sottoposti — i quali non hanno agito nell’interesse esclusivo proprio o di terzi — un profitto di rilevante entità.

 

Rispetto al tre operazioni richiamate, il Tribunale osserva che:

 

  1. quanto all’Operazione Canada, il BOTTA non è non ha partecipato alla diffusione delle notizie false;

 

  1. nell’Operazione Buco Nero, il comunicato decettivo è stato concordato tra Parmalat e la Citibank, ma l’imputato non è tra coloro che parteciparono a questi accordi;

 

  1. relativamente al’operazione di securition il BOTTA non ha commesso il fatto a lui addebitato.

 

Pertanto, anche in questo caso, per qual che concerne la responsabilità della banca ex d. lgs. 231/2001, il Tribunale osserva che essa è da escludersi in quanto difetta uno dei suoi elementi costitutivi: la commissione di un fatto-reato da parte di un soggetto che rivesta posizione apicale o dipendente.

 

4.6. Capo E).

 

L’oggetto della contestazione è relativo al comportamento di un soggetto, di Credit Suisse, che non ha determinato la contestazione di violazione al d. lgs. 231/2001 e pertanto esula dalla presente relazione.

 

4.7. L’imputazione a carico di BANK OF AMERICA Milan Branch a titolo di responsabilità amministrativa dell’ente.

 

Bank of America veniva rinviata a giudizio per violazione dell’art. 25 lett. r) d. lgs. 231/2001 in relazione al delitto p.p. dagli artt. 110, 112 nr. le 2, 81 cpv., 61 nr.2, 7 ed 11 c.p., 2637 c.c., perché, in concorso tra loro

– SALA LUCA, quale responsabile del team corporate finance and relationship management;

– LUZI ANTONIO, quale componente del team corporate finance and relatiortship management di cui era responsabile SALA;

– MONCADA LUIS, quale responsabile portafoglio credito della filiale italiana di BANK OF AMERICA;

– GIURALAROCCA NINO, quale direttore della Banca Cantonale dei Grigionj e successivamente direttore della CentrumBank del Liechtenstein,

nonché con:

– TANZI CALLISTO, TONNA, DEL SOLDATO, BARILI, FERRARIS (quali consiglieri del CDA di Pannalat Finanziaria spa), MAMOLI e ROVELLI (quali revisori della Deloitte & Touche) ZIN I (quale consulente)

concorrevano a diffondere al mercato ed alla comunità finanziaria internazionale – anche per il tramite degli information memorandum predisposti da BOFA (ed, in particolare, quelli redatti e consegnati agli investitori nell’ottobre del 2002 e nell’agosto dei 2003) nonché attraverso le comunicazioni inoltrate alle autorità di vigilanza di diversi paesi — informazioni che sapevano essere false e/o che non rappresentavano le reali condizioni economiche-finanziarie del gruppo Parmalat, soprattutto con riferimento ai rapporti con BOFA, e relative:

 

1)all’occultamento delle effettive condizioni dei finanziamenti erogati e, segnatamente, dei margini e tassi aggiuntivi applicati e tenuti riservati per non “allarmare il mercato ed evitare l’attivazione delle clausole di cross default;

2)all’effettivo rendimento della gestione della liquidità (inferiore al costo del debito, quantomeno con riguardo ai finanziamenti erogati da BOFA);

3)all’asserito rispetto dei cd. covenant che sapevano “sforati” ovvero mantenuti attraverso l’utilizzazione di meccanismi di aggiustamento contabile (gratuity, interpretazione estensiva della definizione di total cash, scorporo Cantai etc);

4)all’occultamento del debito derivante dagli USPP;

5)all’occultamento dei cash collateral,

6)all’occultamento dei contratti derivati stipulati tra gruppo Parmalat e BOFA, finalizzati al pagamento off balance dei premi assicurativi (e che permettevano agli imputati di lucrare ingenti somme di denaro).

 

 

Le condotte contestate ai nn. 1 e 2, commesse in epoca anteriore all’introduzione dell’illecito amministrativo, sono state, proprio per tale ragione, oggetto di una pronuncia assolutoria nei confronti della Banca.

 

Quanto alle restanti condotte, il Tribunale ha svolto un interessante ragionamento, che merita di essere riportato.

 

Preliminarmente il Collegio ha osservato che il fine perseguito dal legislatore, con la disciplina introdotta con il d. lgs. 231/2001 è quello di punire gli enti dotati di personalità giuridica, le società e le associazioni, anche prive di responsabilità giuridica, per la perpetrazione di determinati reati da parte dei soggetti che rivestono posizioni apicali ovvero dei dipendenti rese possibili dalla mancata adozione di modelli organizzativi volti alla prevenzione di quelle condotte illecite.

 

Va sottolineato, osserva il Tribunale, che tale responsabilità degli enti è prevista solo rispetto a determinate fattispecie criminose e sussiste allorché il reato sia stato commesso nell’interesse o a vantaggio dell ‘ente, tanto che nell’art. 1 del decreto così si è scritto: “Il presente decreto legislativo disciplina la responsabilità degli enti per gli illeciti amministrativi dipendenti da reato”.

L’indefettibile collegamento strutturale e funzionale tra la commissione di una determinata fattispecie criminosa e il sorgere della responsabilità amministrativa dell’ente risulta, poi, evidente anche da altre disposizioni.

Nell’art. 8, la cui rubrica è significativamente “Autonomia della responsabilità dell’ente”, si stabilisce che la responsabilità dell’ente sussiste anche se l’autore del reato non è stato identificato o non è imputabile e qualora il reato si estingua per una causa diversa dall’amnistia, che è appunto una causa di estinzione del reato.

L’accertamento dell’illecito amministrativo, continua la sentenza, è precluso qualora l’azione penale non possa essere iniziata o proseguita nei confronti dell’autore per la mancanza di una causa di procedibilità: art. 37 del decreto.

 

Il complesso delle disposizioni richiamate – scrive il Tribunale –rende evidente che elemento costitutivo dell’illecito in discorso è la commissione da parte di una persona fisica di un fatto- reato, il cui accertamento giudiziale è, a sua volta, requisito indefettibite nel giudizio riguardante la responsabilità dell’ente.

E’ evidente allora che, qualora l’accertamento della penale responsabilità del soggetto che riveste una posizione apicale o di un dipendente sia condotto in un processo autonomo e diverso da quello instaurato a carico dell’ente, gli esiti del primo giudizio condizionano, con efficacia di giudicato, il secondo.

 

Nella fattispecie con sentenza irrevocabile è stato statuito che i dipendenti di Bank of America Milan Branch non hanno commesso, nell’esercizio delle loro funzioni e nell’ambito del rapporto negoziale intrattenuto con gli esponenti del gruppo Parmalat, un fatto-reato.

 

Tale statuizione esclude quindi che possa configurarsi in capo a Bank of America Milan Branch quella forma di responsabilità denominata amministrativa, introdotta nell’ordinamento con il D. L.vo 231/2001 e l’Ente pertanto deve essere mandato assolto perché il fatto non sussiste poiché difetta un elemento costitutivo fondante la responsabilità contestata.

 

[1]          Così DE SIMONE, I profili sostanziali della responsabilità c.d. amministrativa degli enti: la «parte generale» e la «parte speciale» del d. lgs. 8 giugno 2001 n. 231, in Responsabilità degli enti per illeciti amministrativi dipendenti da reato, cit., 80.

 

[2]          Così MUSCO, Le imprese a scuola di responsabilità tra pene pecuniarie e misure interdittive. Il reato del dirigente si “duplica” nell’illecito amministrativo, in Dir. & Giust. 2001, n. 21, 82.

 

[3]          V. MAIELLO, La natura (formalmente amministrativa ma sostanzialmente penale) della responsabilità degli enti nel d. lgs. n. 231/2001: una truffa delle etichette davvero innocua?, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2002, 899.

[4]           Così PADOVANI, Diritto penale,6ª ed., Milano 2002, 86.

[5]          V. PALIERO, Il d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231: da ora in poi societas delinquere (et puniri) potest, in Corr. Giur., 2001, 845.

[6]          V. VIGNOLI, La controversa ammissibilità della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente imputato, in Resp. Amm. Società ed Enti, 2006, n. 3, 30.

[7]           V. PALAZZO, Corso di diritto penale, Torino, 2006, 25.

[8]          V. ROMANO, La responsabilità amministrativa degli enti, società o associazioni, in Riv. Società, 2002, 401 e DE FELICE, La responsabilità da reato degli enti collettivi. Parte prima. Principi generali e criteri d’imputazione del d. lgs. n. 231/2001, Bari, 2001, 74.

 

[9]                V. PASCULLI, La responsabilità “da reato” degli enti collettivi nell’ordinamento italiano. Profili dogmatici ed applicativi, Bari, 2005, 57.

[10]         V. MARINUCCI, “Societas puniri potest”: uno sguardo sui fenomeni e sulle discipline contemporanee, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 2002,1202; v. anche COCCO, L’illecito degli enti dipendente da reato ed il ruolo dei modelli di prevenzione, ivi, 2004, 116.

[11]          V. DE FELICE, op. cit., 86.

[12]         V. ALESSANDRI, Note penalistiche sulla nuova responsabilità delle persone giuridiche, in Riv. Trim. Dir. Pen. Ec., 2002, 55.

[13]          Così ALESSANDRI, Riflessioni penalistiche, cit., 51

[14] Sulla scia delle leggi della Regione Calabria (15/2008) e della Regione Abruzzo (15/2011), anche il Piemonte intende muoversi nel senso dell’obbligatoria adozione dei modelli organizzativi ed è pendente in Consiglio Regionale il disegno di legge n. 58/2010, che introduce l’obbligo di dotarsi di idoneo modello organizzativo, per tutti gli Enti che operano o aspirano a divenire fornitori di beni o di servizi della Regione Piemonte e di tutti gli organismi ad essa collegati .

[15]          La relazione di vigilanza ispettiva condotta ai sensi dell’art. 54 D.Lgs. 385/93 (aff. 271458 e ss.) dalla Banca d’Italia (che presentava in data 9.6.2008 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano una denuncia cui era allegata la relazione) si concludeva con un giudizio complessivamente sfavorevole sulla amministrazione della banca ed evidenziava, sotto molteplici profili, gravi anomalie e disfunzioni organizzative e gestionali.

Con il report del 1.6.2007 trasmesso alla CONSOB, l’Internal Audit di Banca Italease S.p.A. ha rilevato che l’operatività in derivati si fondava su prassi operative piuttosto che su regole codificate. Nel report del 7.8.2007, l’Internal Audit di Banca Italease riepilogava le numerose anomalie riscontrate e riconducibili: al generale disordine nella contabilizzazione delle commissioni; alle reiterate correzioni riportate a penna da parte dell’Ufficio Financial Banking sulle fiches interne inviate al Middle Office e con le quali venivano attribuite commissioni ai diversi agenti; all’assenza di supporti cartacei giustificativi e/o di riferimenti oggettivi che fornissero certezza all’effettivo intervento dei mediatori; all’assenza di un solido e formalizzato processo che, sul tema, prevedesse controlli di primo e di secondo livello; all’unwinding (risoluzione anticipata) di operazioni IRS senza richiederne al cliente il pagamento dei costi di chiusura (tali costi venivano compensati con gli upfront di altre operazioni, con una registrazione contabile incompleta).