Per il contratto di finanziamento a tassi usurari rispondono i vertici della banca

di Dott. Matteo Ferrione150123-banca_finanza

Articolo comparso sulla rivista BancaFinanza (marzo 2017).

 

Con la recente pronuncia del 2 febbraio 2017, n. 4961, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione del Tribunale di Asti – Sezione del Giudice per l’udienza preliminare – che aveva dichiarato non luogo a procedere nei confronti di un direttore di banca per il contratto di finanziamento stipulato – a tassi usurari – con un imprenditore per lo svolgimento della sua attività. In particolare, pur ritenendo sussistente il reato sotto il suo profilo “oggettivo” (poiché il tasso praticato nel prestito era risultato effettivamente superiore al tasso-soglia fissato dalla legge), il Tribunale aveva escluso che in capo all’imputato fosse ravvisabile il dolo richiesto dal reato di usura.

La pronuncia, seppure intervenuta in sede di udienza preliminare – quando cioè è richiesto al Giudice un vaglio generale sugli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari, al fine di stabilire se sia opportuno procedere o meno al giudizio vero e proprio – ribadisce alcuni importanti principi di diritto nella individuazione delle responsabilità in capo ai diversi organi della banca in caso si applicazione di tassi usurari nei contratti stipulati con i clienti.

Si è così precisato che “solo ai presidenti dei consigli di amministrazione delle banche”, cioè ai vertici della struttura societaria, è riconosciuto un preciso dovere di informarsi con diligenza sulla normativa esistente in tema di computo dei tassi di interesse ai fini dell’usura; ciò anche in virtù del fatto che sono gli stessi statuti societari degli istituti di credito ad attribuire loro specifici “poteri in materia di erogazione del credito, rientranti nell’ambito dei più generali poteri di indirizzo dell’impresa”. Ne deriva che, in casi come quello sottoposto al giudizio del Tribunale di Asti (e poi della Cassazione) solo in capo ai vertici dell’istituto bancario sussiste “una posizione di garanzia a tutela dei clienti quanto al rispetto delle disposizioni di legge in tema di erogazione del credito”.

Nel medesimo senso si era già espressa, a più riprese, la stessa Suprema Corte (si veda, per tutte, la Sentenza n. 46669/2011), precisando anche come in capo ai predetti organi di vertice (i presidenti del CDA) “incombe anche il rischio di ogni mancato controllo od omessa vigilanza su specifiche questioni concernenti l’erogazione del credito”, quali – appunto – “la determinazione del tasso di usura: rientrano infatti tra le funzioni specifiche dei vertici aziendali, indipendentemente dal decentramento di tali funzioni a altri organismi sotto-ordinati e interni alla banca”. Ne discende che, anche in caso di omissione di controllo, si potrà ravvisare in capo a detti soggetti quantomeno una forma di corresponsabilità, sotto il profilo penale (ricadendo tale omissione nella sfera di applicazione dell’art. 40 c.p. comma 2, secondo cui “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo“).

Nel caso qui in commento, facendo applicazione dei suddetti principi di diritto, la Corte di Cassazione ha giudicato corrette le argomentazioni del Giudice per l’udienza preliminare che ha dichiarato l’imputato, direttore di filiale, esente “a priori” da responsabilità per il reato di usura in relazione al tasso d’interesse praticato al cliente, ritenendo, pertanto inutile procedere con il suo rinvio a giudizio per la celebrazione del processo.