La Cassazione in tema di associazione mafiosa: caratteristiche e modus operandi della “mafia silente” in Piemonte

di Redazione Studio Legale Cavallo


logo_CorteSupremaCassazione-compressor

La Cassazione ha reso note le motivazioni con cui, all’udienza dello scorso 30 gennaio 2015, ha deciso in ordine ai ricorsi presentati da quasi tutti gli imputati contro la sentenza della Corte d’Appello di Torino che aveva comminato le condanne nell’ambito del filone del processo “Minotauro” deciso con rito abbreviato. Il Giudice di legittimità ha confermato la gran parte delle condanne.

La sentenza si pone quale ultimo sviluppo di un’ampia e complessa vicenda giudiziaria sviluppatasi attorno alle indagini delle Procure della Repubblica di Reggio Calabria e Torino sulla presenza, anche al nord, della criminalità organizzata denominata ‘Ndrangheta.

Si propone qui una sintesi, per estratto, delle argomentazioni svolte dalla Suprema Corte:

[button_download url=https://www.studiolegalecavallo.com/wp-content/uploads/2015/05/Cass.-Minotauro-n.-15412_2015_estratto..pdf bottom_text=”Scarica il testo”]Download[/button_download]

Di particolare interesse sono gli elementi sulla base dei quali i Giudici della Suprema Corte hanno ritenuto  l’associazione sviluppata in Piemonte (in particolare nell’hinterland torinese) come autonoma e caratterizzata dagli elementi tipici di cui all’art. 416 Per dimostrare la “diffusa omertà” che caratterizza l’associazione in Piemonte, i magistrati ricordano che la sentenza della Corte d’appello di Torino evidenzia come “in molte occasioni gli imprenditori della zona non hanno mai denunciato i delitti di cui sono rimasti vittima”.

Spiegano poi che “la concreta capacità di intimidazione dell’associazione mafiosa” proviene dal legame con la ‘ndrangheta reggina “di cui ha mantenuto modalità organizzative e comportamenti tipicamente mafiosi”, ma si è manifestata autonomamente in Piemonte “realizzando nella comunità locale quelle condizioni di assoggettamento e di omertà”.