Bancarotta ed occultamento di documenti contabili: i due reati concorrono

di Avv. Carlo Cavallo

Articolo comparso sulla rivista Espansione (maggio 2017).

 

Con la recente pronuncia n. 18927 del 2017, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imprenditore che denunciava di aver subito, relativamente ad un medesimo fatto, una doppia condanna, in due distinti procedimenti, prima per l’illecito, di natura fiscale, relativo all’occultamento o distruzione di scritture contabili (art. 10 del D.lgs. 74/2000) e, poi, per il reato di bancarotta documentale (art. 216 della Legge Fallimentare), in violazione del “divieto di secondo giudizio” sancito dai principi fondamentali in tema di processo penale (in particolare, dall’art. 649 c.p.p.: il c.d. divieto di “bis in idem”, in base al quale un imputato non può essere giudicato due volte su uno stesso fatto).

Nel ricorso proposto dall’imputato si evidenziava come le due differenti condanne, entrambe emesse dal Tribunale di Milano a distanza di 10 giorni l’una dall’altra, avessero ad oggetto una medesima condotta: infatti, la contestazione di non aver tenuto regolarmente (occultando o distruggendo) parte delle delle scritture contabili, ai fini della normativa fiscale – secondo il ricorrente – combaciava del tutto con la contestazione per bancarotta documentale, consistente nell’aver “sottratto, distrutto o falsificato, in tutto o in parte”, i libri o le altre scritture contabili, o averli tenuti in modo irregolare al fine di impedire la ricostruzione del patrimonio aziendale.

In particolare, una volta intervenuta la prima condanna per il reato di natura fiscale, l’ulteriore pronuncia del Tribunale in ordine al reato di bancarotta “documentale” avrebbe costituito una illegittima “duplicazione” di giudizio sul medesimo fatto, contraria al divieto di secondo giudizio previsto dalla vigente normativa processuale. Su questo presupposto, la difesa dell’imprenditore avanzava alla Corte di Cassazione richiesta di annullamento della seconda condanna (quella per il reato di bancarotta).

La Suprema Corte ha negato, però, la tesi della difesa ed ha escluso che la condanna per il reato fiscale e per quello di bancarotta, nel caso in questione, possano dare origine a una violazione del divieto di “bis in idem”. Riaffermando un principio già espresso in alcune precedenti Sentenze, la Cassazione ha infatti sottolineato gli elementi che segnano la diversità fra le due ipotesi di reato. Da un lato, quella di natura fiscale-tributaria, è destinata a punire l’impossibilità di ricostruire l’ammontare dei redditi o il volume degli affari dell’imprenditore (cioè l’impossibilità di accertare il risultato economico) che dipenda dall’occultamento o dalla distruzione di documentazione contabile; dall’altro, invece, il reato di bancarotta documentale punisce la lesione degli interessi dei creditori che venga commessa dall’imprenditore mediante l’irregolare tenuta della documentazione contabile (o mediante la sottrazione o la distruzione di parte di questa). In particolare, sottolineano i Supremi Giudici, la distinzione tra i due illeciti va ricercata nella differente volontà che il soggetto autore del reato persegue: nel caso del reato fiscale la volontà dell’agente, mediante l’occultamento o la distruzione dei documenti contabili, è quella di eludere il fisco; nella bancarotta documentale, invece, pur ricorrendo l’elemento della sottrazione, distruzione o irregolare tenuta delle scritture contabili, la volontà è ben diversa e consiste nel procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o nel recare danno agli interessi dei creditori.

Questa diversità basta – a parere della Corte di Cassazione – a segnare la diversità delle due ipotesi di reato ed a negare l’esistenza di un c.d. “rapporto di specialità” tra esse. In altre parole, i due diversi reati non puniscono lo stesso tipo di condotta, ma due condotte ben distinte e tutelano interessi giuridici tra loro diversi: da una parte la regolarità fiscale e delle entrate tributarie (art. 10 D.Lgs. 74/2000); dall’altra la tutela degli interessi dei creditori dell’impresa rispetto alle condotte fraudolente dell’imprenditore (art. 216 n. 2 L. Fall.).