Tribunale di Milano: sent. Sez. IV, 4 febbraio 2013, n. 13976.

di Carlo CAVALLO

Avvocato in Torino


Articolo comparso sulla rivista BancaFinanza (settembre 2013)150123-banca_finanza

 

Quattro banche estere – Deutsche Bank, Depfa Bank, Ubs e Jp Morgan – sono state condannate dal Giudice Monocratico presso il Tribunale di Milano per il reato di truffa aggravata per l’ammontare di oltre 100 milioni di euro ai danni del Comune di Milano, in relazione a operazioni su contratti derivati stipulati con le Giunte del capoluogo lombardo.

Il giudice della IV Sezione Penale di Milano, Oscar Maggi, ha accolto in pieno l’impianto accusatorio, riconoscendo la responsabilità dei quattro istituti di credito che erano imputati in base alla legge 231 del 2001 sulla responsabilità amministrativa degli enti.

Secondo l’accusa, le quattro banche avrebbero «raggirato» l’amministrazione comunale milanese stipulando nel 2005 uno swap trentennale senza informare, come dovuto, il Comune di tutti i rischi dell’operazione. Lo swap, come noto, appartiene alla categoria degli strumenti derivati, e consiste, in estrema sintesi, nello scambio di flussi di cassa tra due controparti: affinché possa essere rispettata la buona fede che è un pilastro irrinunciabile dell’attività negoziale, tutti i rischi connessi a questo strumento contrattuale devono essere comunicati da una parte all’altra.

Una perizia, ordinata dal giudice nel corso del processo (protrattosi per circa due anni e mezzo), ha stabilito in sostanza che le banche avevano male informato l’amministrazione comunale, la quale, comunque, aveva avuto fretta eccessiva nel concludere l’operazione.

Il Comune di Milano, che si era costituito parte civile, è poi uscito dal processo dopo un accordo di transazione con i quattro istituti di credito, accordo che ha previsto la chiusura del contratto derivati in essere.

LE PENE.

Il giudice, applicando le sanzioni previste dal d. lgs. 231/2001, ha disposto la confisca del presunto profitto dei reati contestati per un valore complessivo di oltre 89 milioni e 60 mila euro.

Inoltre ha condannato gli istituti di credito ad una multa di un milione di euro ciascuno.

Per i nove funzionari ritenuti responsabili le pene sono state comprese tra i sei mesi e gli otto mesi e 15 giorni.

Tutte le condanne sono con sospensione condizionale della pena, con il riconoscimento delle attenuanti generiche e comportano l’incapacità di contrattare per un anno con la pubblica amministrazione.

SUI MODELLI ORGANIZZATIVI.

Lapidario il giudizio dato sui modelli organizzativi: si legge, in sentenza: “Sulla base di tali considerazioni non risultano nemmeno ipotizzabili profili di rilievo ai fini della verifica della sussistenza delle cause di esclusione della responsabilità dell’ente di cui all’art 6 d.lg. 231/2001:

tutte le società ritenute responsabili hanno certamente adottato modelli di organizzazione e di gestione idonei, in astratto, a prevenire fatti come quelli fin qui considerati, ma, come si è visto, i modelli preesistenti non risultano aver avuto alcuna efficacia preventiva ed appaiono (ad una lettura non superficiale) solo una attenta precostituzione di alibi, al solo fine di garantire ai funzionari di grado superiore una specie di impunità per quanto eventualmente commesso dai vari sellers o traders nella stipula dei contratti effettuati.

Le procedure allora in vigore prodotte dalle difese non sono quindi in alcun modo da ritenersi concretamente efficaci e, per loro struttura, non erano in alcun modo idonee a impedire reati di truffa ai danni di enti pubblici, come quelli qui contestati.

In particolare, l’unica procedura in vigore al momento dei fatti di cui si tratta e che avrebbe potuto avere qualche rilevanza in questo procedimento, è quella relativa al corretto trattamento dei clienti ed alla loro classificazione, che tuttavia, pur sussistente, non indica alcuna misura idonea a prevenire eventi illegittimi o comunque eventualità di scorretto trattamento, mentre i codici etici contengono soltanto un generico divieto di fatti illeciti, non seguito da alcuna procedura idonea al controllo e all’impedimento degli stessi.

Una posizione fortemente critica rispetto alla volontà aziendale di far funzionare i modelli creati per arginare la strumentalizzazione dell’ente a fini delittuosi: non basta – anche se appare confermata l’indispensabilità della sua adozione – creare un modello organizzativo ben strutturato sulla carta; bisogna anche preoccuparsi di attuarlo efficacemente traducendo in azioni concrete i valori ed i controlli teorizzati nel modello.