Note in tema di disastro colposo

Dott. Matteo FERRIONE – Praticante presso Studio Legale Cavallo (Torino)


L’art. 449 c.p. e i delitti colposi di danno

Il comb. disp. di cui agli artt. 449 e 434 c.p. individua il reato di c.d. disastro innominato colposo (così definito dalla giurisprudenza[1]); in particolare l’art. 434 c.p., facendo riferimento al crollo di costruzione o ad “un altro disastro”, costituirebbe una norma di chiusura nel quadro dei delitti di disastro, sottoclasse dei delitti di comune pericolo di cui al Capo I, Titolo VI[2].

Il delitto di cui all’art. 449 c.p. punisce tutte le ipotesi di realizzazione colposa delle condotte previste (in forma dolosa) nel Capo I del medesimo Titolo IV del codice penale, agli artt. 423 e ss., richiamati dall’art. 449 c.p. per effetto del riferimento ad ogni “altro disastro preveduto dal capo primo”.

Per definire gli elementi costitutivi della fattispecie colposa occorrerà dunque fare riferimento, di volta in volta, alla corrispondente figura dolosa di cui al Capo I. Nel caso di specie, come anticipato, occorre richiamare l’ipotesi dolosa di cui all’art. 434 c.p., comma 1 (crollo di costruzioni o altri disastri dolosi), essendo stati ricompresi dalla giurisprudenza di legittimità, nel concetto di costruzione, anche ponti ed impalcature.

Tale ultima figura descrive un reato di pericolo per la pubblica incolumità; pericolo che dev’essere sorto e dimostrato: si parla in tal senso di “evento di pericolo” integrato dall’insorgenza di uno stato di fatto che renda possibile il danno.

Si è discusso, in dottrina, se il verificarsi (rectius, la sussistenza) del pericolo per la pubblica incolumità costituisca una condizione di punibilità (come parrebbe suggerire l’interpretazione letterale) o piuttosto sia da considerare fra gli elementi costitutivi del reato; la questione, tuttavia, pur rilevante in termini di accertamento del dolo, non viene in rilievo quando si tratta di realizzazione colposa della fattispecie, ex art. 449 c.p.

Interesse genericamente tutelato dalla norma è la pubblica incolumità: si fa riferimento ad una situazione globale di comune pericolo cagionato rispetto ad un numero indeterminato di persone ed al turbamento sociale che ne deriva. La punibilità è giustificata per l’attentato comunque prodotto all’interesse sociale dell’incolumità pubblica, attentato che, pur integrando un mero pericolo, costituisce, ex se, un danno e conferisce rilevanza penale al fatto: ciò risponde alla necessità di sanzionare, in materia di incolumità pubblica, determinate condotte consistenti nella produzione colposa di eventi, anche soltanto pericolosi.

Per quanto detto sopra, i medesimi requisiti in tema di evento e di pericolo visti per l’ipotesi dolosa (art. 434) sono da ritenere validi anche per l’ipotesi di realizzazione colposa di tale reato, ricompresa nella fattispecie di cui all’art. 449 c.p.

La formulazione del reato nella forma del delitto di attentato (c.d. fattispecie causalmente orientate) risponderebbe, per la dottrina, al perseguimento dell’obbiettivo ultimo di protezione integrale di un bene giuridico complesso come la pubblica incolumità: protezione che può meglio realizzarsi attraverso una tecnica redazionale concentrata più sulla descrizione dell’evento lesivo, che non sulla selezione delle singole condotte causative[3].

Sul piano definitorio, per l’individuazione dei confini della figura del disastro innominato di cui all’art. 434 c.p., autorevole dottrina ha precisato che tale disastro “costituisce un accadimento (sicuramente diverso, ma) comunque omogeneo sul piano sia morfologico, che contenutistico rispetto agli eventi tipizzati all’interno del Capo I[4].

In particolare, quanto ai requisiti del fatto illecito innominato, il Giudice delle leggi ha avuto modo di precisare[5] che:

  • sul piano dimensionale, si deve essere al cospetto di un evento distruttivo di proporzioni straordinarie, anche se non necessariamente immani, atto a produrre effetti dannosi gravi, complessi ed estesi;
  • sul piano della proiezione offensiva, l’evento deve provocare, in accordo con l’oggettività giuridica delle fattispecie criminose in questione (la “pubblica incolumità”), un pericolo per la vita o per l’integrità fisica di un numero indeterminato di persone, senza che peraltro sia richiesta anche l’effettiva verificazione della morte o delle lesioni di uno o più soggetti.

La Cassazione ha ripetutamente chiarito che il reato di cui agli artt. 449 e 434 c.p., per poter essere configurato, richiede “un avvenimento grave e complesso con conseguente pericolo per la vita o l’incolumità delle persone indeterminatamente considerate (…); è necessaria una concreta situazione di pericolo per la pubblica incolumità nel senso della ricorrenza di un giudizio di probabilità relativo all’attitudine di un certo fatto a ledere o a mettere in pericolo un numero non individuabile di persone (…); ed inoltre l’effettività della capacità diffusiva del nocumento (c.d. pericolo comune) deve essere, con valutazione ex ante, accertata in concreto, ma la qualificazione di grave pericolosità non viene meno allorché, eventualmente, l’evento dannoso non si è verificato”[6].

In altri termini, onde assumere le dimensioni del disastro – sostiene la Corte – l’evento deve caratterizzarsi per una “effettiva capacità diffusiva del pericolo per la pubblica incolumità”, da valutarsi ex ante, non occorrendo l’avvenuto verificarsi dell’evento dannoso. Necessario, ai fini di ritenere provato il delitto di cui agli artt. 449 e 434 c.p., sarebbe dunque la sola dimostrazione che dal fatto derivi un pericolo, e non necessariamente anche la prova che derivi un danno.

 

INSORGENZA DEL PERICOLO CONCRETO E CONSUMAZIONE

Il reato, nella fattispecie di cui all’art. 434 c.p., limitatamente all’ipotesi di cui al comma 1, si realizza nel momento in cui sorge il pericolo concreto per l’incolumità pubblica, in conseguenza di un fatto diretto (o, nell’ipotesi colposa, idoneo) a causare il crollo.

Trattandosi di un reato espresso nella forma del tentativo (o delitto di attentato), è possibile richiamare quanto espresso dalla dottrina in riferimento ad una fattispecie analoga, per struttura e realizzazione, a quella in commento. Nel tentativo l’idoneità è riferita agli atti, che costituiscono un singolo momento della condotta tipica e non approdano alla compiuta realizzazione di uno schema descrittivo di parte speciale, poiché nel delitto tentato l’azione non si compie o l’evento non si verifica. Proprio per questo l’idoneità non deve essere intesa come efficienza causale della condotta rispetto ad un evento che non si è verificato, e dunque non deve essere accertata secondo un giudizio ex post, che renderebbe non punibile il tentativo, poiché, in una valutazione ex post che abbia ad oggetto l’intera vicenda criminosa, la mancata verificazione dell’evento, e quindi la mancata realizzazione dell’obiettivo criminoso del soggetto agente, sarebbe prova dell’inidoneità degli atti compiuti a realizzarlo. L’idoneità indica, invece, la capacità ipotetica e potenziale degli atti posti in essere a condurre ad un certo risultato (…); attitudine che deve essere valutata ex ante, ponendosi al momento del compimento degli atti, sulla base delle conoscenze dell’uomo medio, eventualmente arricchite di quelle ulteriori del soggetto agente e tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. L’idoneità è quindi sinonimo di pericolosità, con la conseguenza che atti idonei sono quegli atti che determinano una situazione di pericolo concreto e reale per il bene protetto. E poiché il pericolo è probabilità di lesione del bene tutelato, il grado di idoneità coincide con la probabilità di verificazione dell’evento dannoso o pericoloso, e quindi di consumazione del reato, o quantomeno con la rilevante e ragionevole possibilità di detto evento[7].

In una pronuncia su un caso di insider trading, quale reato di pericolo concreto, la stessa Cassazione ha chiarito che il reato di pericolo concreto si perfeziona nel momento e nel luogo in cui si manifesta l’idoneità dell’azione a provocare l’evento lesivo[8].

 

ELEMENTO SOGGETTIVO

Quale reato di disastro colposo, la fattispecie in esame richiede, come elemento costitutivo, una condotta colposa, commissiva od omissiva, che si ponga in rapporto di causalità con un evento di danno (incendio o altro disastro) o con un evento di mero pericolo per la pubblica incolumità. Infatti, il rinvio che l’art. 449 c.p. fa ai disastri previsti dal Capo I del medesimo Titolo VI, e in particolare a quanto previsto dall’art. 434 c.p., con riferimento al disastro innominato, è stato interpretato come comprensivo sia dell’ipotesi di pericolo (art. 434, c. 1), sia dell’ipotesi di evento dannoso (art. 434, c. 2).

Per quanto concerne, in particolare, la condotta omissiva, autorevole dottrina ha notato come l’omissione non integra l’essenza del reato colposo, bensì il mezzo attraverso cui si determina o si favorisce l’azione di cause di modificazione del mondo esterno, ossia di quell’evento che concreta la consumazione del reato[9].

Nella forma omissiva, solo chi riveste una posizione di garanzia può rispondere dell’omesso impedimento di uno dei disastri previsti dalla norma.

Sotto il profilo dell’elemento soggettivo, la condotta colposa dell’agente può consistere (ex art. 43 c.p.) nella negligenza, nell’imprudenza o nell’imperizia, ovvero nell’inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline; l’obbligo specifico di revisioni periodiche non esclude la colpa generica per difetto di manutenzione nell’intervallo di tempo tra le revisioni[10].

Con riguardo ai soggetti che rivestano determinate qualifiche dirigenziali e prestino corrispondenti mansioni di elevata delicatezza, specializzazione e responsabilità, l’obbligo di diligenza e perizia è stato specificato in rapporto all’osservanza di regole e precauzioni doverose da parte della media dei soggetti rivestenti analoga qualifica e identiche mansioni[11].

Tali regole di diligenza devono essere finalizzate a prevenire determinate modalità di causazione dell’evento > esse devono fungere da copertura dei decorsi causali così da prevenire quelle situazioni in cui determinate condizioni possono condurre all’evento temuto. L’evento disastroso, dunque, deve rappresentare la realizzazione dello specifico pericolo che la norma violata mirava ad impedire.

La colpa va quindi ravvisata laddove la violazione della regola cautelare, quando è stata violata, rendeva prevedibile o riconoscibile (da parte dell’homus eiusdem condicionis et professionis) il decorso causale sfociato – o idoneo a sfociare – nella realizzazione dell’evento disastroso.

 

CONFIGURABILITA’ DEL TENTATIVO DI DISASTRO COLPOSO (artt. 449 e 434 c. 1, c.p.p.)

In dottrina vi è chi[12] ha sostenuto che l’art. 434 c.p.p., al comma 1, laddove cioè contempla il tentativo di disastro, non può essere punito per colpa perché le disposizioni che espressamente prevedono la punibilità per colpa di (alcuni) dei delitti del Capo I non fanno ad esso esplicito riferimento.

Non l’art. 449 (“Delitti colposi di danno”) in quanto esso prevede la punizione di coloro che cagionino per colpa “…un altro disastro preveduto dal Capo I di questo titolo”, mentre la condotta di cui al comma 1 dell’art. 434 è quella di ” fatto diretto a cagionare…un disastro”. Né si dimostra utile alla bisogna l’art. 450 (“Delitti colposi di pericolo”), ove si fa riferimento alla condotta di chiunque, con la propria azione od omissione colposa, fa sorgere o persistere il pericolo di una determinata serie di eventi, tra i quali non è espressamente indicato il disastro innominato.

La contestabilità per colpa di entrambe le fattispecie sarebbe impedita da “una ragione per così dire ontologica: se si muove dal concetto comune di tentativo [di disastro, in questo caso] come atto intenzionalmente diretto a un risultato, ipotizzare un tentativo involontario [di disastro] appare logicamente incongruente”[13]. O, in altri termini, se l’espressione “fatti diretti a” viene intesa come “un riferimento soggettivo alla direzione della volontà criminosa o si ritiene dia rilievo, sul piano della tipicità, ai motivi o scopi, dell’autore, appare evidente la distanza dalla tipicità e dalla colpevolezza colposa”[14].


 

[1] Cass. pen., IV, 20 febbraio 2007, n. 19342, in Riv. Pen., 2007, 10, 995.

[2] Di tal che la clausola di riserva “fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti” rimanderebbe non già a tutti gli articoli precedenti contenuti nel Capo I, bensì soltanto a quelli, tra essi, che prevedono altre ipotesi di disastro (es. naufragio, disastro ferroviario); cfr. Ibidem.

[3] Cecchini, Attribuzione causale ed imputazione colposa di un disastro (commento alla normativa), in Dir. Pen. e Processo, 2012, 3, 282 ss.

[4] Gargani, Reati contro l’incolumità pubblica, Tomo I, I reati di comune pericolo mediante violenza, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, vol. IX, diretto da Grosso Padovani Pagliaro (Milano), 2008, 455.

[5] Corte Cost., 1 agosto 2008, n. 327, in Cass. pen., 2009, 3, 995 e ss.; nel medesimo senso si veda Cass. pen., IV, 20 febbraio 2007, cit.

[6] Cass. pen., IV, 20 febbraio 2007, cit.

[7] Gizzi, Sulla natura giuridica del delitto di agevolazione dell’immigrazione clandestina (nota a Ass. Milano, I, 27 dicembre 2001) in Giur. It., 2003, 5 (reperibile in Banca Dati leggiditalia.it, cons. 17 novembre 2014).

[8] Cass. pen., II, 21 marzo 2013, 12989, in Banca Dati leggiditalia.it, cons. 17 novembre 2014,.

[9] Così Lattanzi, Lupo, Codice penale, Rassega di giurisprudenza e di dottrina, vol. VIII, Barbalinardo, Benini, Melillo (a cura di), Dei delitti contro l’incolumità pubblica, sub art. 449, Giuffré (Milano), 2000, 484.

[10] Cfr. Cass. pen., 1 ottobre 1998, Marchetti, CED Cass. 212402.

[11] Cass. pen., 18 aprile 1986, Vollono, in Riv. Pen., 1987, 795.

[12] Alberta, Il c.d. disastro ambientale: l’involuzione interpretativa dell’art. 434 cod. pen. (parte prima), in Ambiente e sviluppo, 2006, 6, 534 ss. (reperibile in Banca Dati leggiditalia.it, cons. 17 novembre 2014).

[13] Fiandaca, Musco, Diritto penale, Parte generale, Bologna, 2009, 475.

[14] Ramponi, Delitti colposi riguardanti i disastri, in (a cura di Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa) Trattato di diritto penale, Parte Speciale, IV, Torino, 2010, 348.