Il dirigente alla luce del nuovo quadro normativo sulla sicurezza sul lavoro

di Carlo Cavallo  Avvocato in Torino


 

RELAZIONE AL SEMINARIO DI STUDI PRESSO L’ISTITUTO DIRIGENTI ITALIANI DEL 25 GIUGNO 2008. 

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  1. Il nuovo sistema sulla sicurezza sul lavoro.

   Con il decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 aprile n. 101 suppl. ord., il Governo ha esercitato il potere di delega conferitogli dalla legge n. 123/2007 in materia di riordino della normativa concernente la sicurezza e la prevenzione sul lavoro.

Il decreto ha dato concreta attuazione ai principi e criteri direttivi contenuti nell’art. 1 della citata legge di delega, rivisitando interamente il settore in questione sia per quanto riguarda

  • il complesso di attività finalizzate al miglioramento della sicurezza;
  • i soggetti incaricati a vario titolo di contribuire ad innalzare il livello di protezione;
  • l’apparato sanzionatorio.

E’ utile fornire almeno uno sguardo complessivo al decreto al fine di individuarne le linee guida fondamentali.

Il sistema di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori – oggi concetto assai più ampio che in passato, a mente dell’art. 2 d. lgs. 81/08 – si fonda, in primo luogo, su una rete di organismi istituzionali cui sono affidati compiti di indirizzo, studio, consulenza e che, nel loro insieme, costituiscono il cosiddetto “sistema istituzionale”, disciplinato al capo II del titolo I.

Al riguardo merita di essere segnalata l’istituzione, presso il Ministero della Salute, del (art. 5) Comitato per l’indirizzo e la valutazione delle politiche attive e per il coordinamento nazionale delle attività di vigilanza in materia di salute e sicurezza sul lavoro. I compiti fondamentali del Comitato, presieduto dal Ministero, sono quello di stabilire le linee comuni delle politiche nazionali in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di individuare obiettivi e programmi dell’azione pubblica di miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza dei lavoratori, di definire la programmazione annuale in ordine ai settori prioritari di intervento dell’azione di vigilanza, i piani di attività e i progetti operativi a livello nazionale, tenendo conto delle indicazioni provenienti dai comitati regionali di coordinamento e dai programmi di azione individuati in sede comunitaria, di programmare il coordinamento della vigilanza a livello nazionale in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di garantire lo scambio di informazioni tra i soggetti istituzionali al fine di promuovere l’uniformità dell’applicazione della normativa vigente e di individuare le priorità della ricerca in tema di prevenzione dei rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori.

Accanto al Comitato opera (art. 6) la Commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro, istituita presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, con il compito, tra l’altro, di esaminare i problemi applicativi della normativa di salute e sicurezza sul lavoro e formulare proposte per lo sviluppo e il perfezionamento della legislazione vigente,di esprimere pareri sui piani annuali elaborati dal Comitato di cui all’articolo 5, di definire le attività di promozione e le azioni di prevenzione di cui al successivo articolo 11, validare le buone prassi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, di redigere annualmente, sulla base dei dati forniti dal sistema informativo di cui all’articolo 8, una relazione sullo stato di applicazione della normativa di salute e sicurezza e sul suo possibile sviluppo, da trasmettere alle commissioni parlamentari competenti e ai presidenti delle regioni, di elaborare, entro e non oltre il 31 dicembre 2010, le procedure standardizzate di effettuazione della valutazione dei rischi di cui all’articolo 29, comma 5, tenendo conto dei profili di rischio e degli indici infortunistici di settore, di definire criteri finalizzati alla definizione del sistema di qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi di cui all’articolo 27, di valorizzare sia gli accordi sindacali sia i codici di condotta ed etici, adottati su base volontaria, che, in considerazione delle specificità dei settori produttivi di riferimento, orientino i comportamenti dei datori di lavoro, anche secondo i principi della responsabilità sociale, dei lavoratori e di tutti i soggetti interessati, ai fini del miglioramento dei livelli di tutela definiti legislativamente, di valutare le problematiche connesse all’attuazione delle direttive comunitarie e delle convenzioni internazionali stipulate in materia di salute e sicurezza del lavoro, di promuovere la considerazione della differenza di genere in relazione alla valutazione dei rischi e alla predisposizione delle misure di prevenzione e di indicare modelli di organizzazione e gestione aziendale ai fini di cui all’articolo 30.

Di particolare interesse, poi, è la creazione di un Sistema informativo nazionale per la prevenzione nei luoghi di lavoro (SINP) (art. 8), al fine di fornire dati utili per orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia della attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali, relativamente ai lavoratori iscritti e non iscritti agli enti assicurativi pubblici, e per indirizzare le attività di vigilanza, attraverso l’utilizzo integrato delle informazioni disponibili negli attuali sistemi informativi, anche tramite l’integrazione di specifici archivi e la creazione di banche dati unificate. Il Sistema informativo é costituito dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale, dal Ministero della salute, dal Ministero dell’interno, dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano, dall’INAIL, dall’IPSEMA e dall’ISPESL, con il contributo del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL). I contenuti dei flussi informativi devono almeno riguardare: a) il quadro produttivo ed occupazionale; b) il quadro dei rischi; c) il quadro di salute e sicurezza dei lavoratori; d) il quadro degli interventi di prevenzione delle istituzioni preposte; e) il quadro degli interventi di vigilanza delle istituzioni preposte.

Nell’art. 9 viene delineato, rafforzandolo, il ruolo di enti pubblici che, anche prima della novella, svolgevano importanti compiti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro: l’ISPESL, l’INAIL e l’IPSEMA. A questi tre organi viene affidata, tra l’altro, un’attività di consulenza in materia di sicurezza a favore delle aziende, in particolare medie, piccole e microimprese.

Orbene: secondo il comma 3 del citato art. 9, nell’esercizio dell’attività di consulenza i funzionari degli istituti in questione non hanno l’obbligo di denuncia di cui all’articolo 331 del codice di procedura penale o di comunicazione ad altre Autorità competenti relativamente alle contravvenzioni rilevate in materia di salute e sicurezza sul lavoro. L’esenzione, se si può comprendere nell’ottica di favorire un contatto tra imprese ed enti pubblici, rappresenta comunque una eccezione importante al normale principio che impone al pubblico ufficiale di riferire all’Autorità ogni violazione di una norma per cui è stabilita la procedibilità d’ufficio.

Gli organismi associativi a rilevanza nazionale degli enti territoriali e gli enti pubblici nazionali, nonché, di propria iniziativa o su segnalazione dei propri iscritti, le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale e i consigli nazionali degli ordini o collegi professionali, possono inoltrare alla Commissione per gli interpelli, istituita presso il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale, quesiti di ordine generale sull’applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza del lavoro. L’istituto, noto come interpello, nelle intenzioni del legislatore dovrebbe contribuire ad orientare le aziende nella delicata attività di attuazione delle misure di prevenzione. Come elemento di novità si segnala che alle indicazioni fornite nelle risposte ai quesiti viene riconosciuto il valore di criterio interpretativo e direttivo per l’esercizio dell’attività di vigilanza.

Disposizioni particolari sono dettate per il contrato del lavoro irregolare (art. 14): per reprimere tale fenomeno, fonte di elusione della normativa sulla sicurezza, gli organi di vigilanza possono adottare provvedimenti di sospensione di un’attività imprenditoriale qualora riscontrino l’impiego di personale non risultante dalle scritture o da altra documentazione obbligatoria in misura pari o superiore al 20 per cento del totale dei lavoratori presenti sul luogo di lavoro, ovvero in caso di reiterate violazioni della disciplina in materia di superamento dei tempi di lavoro, di riposo giornaliero e settimanale, di cui agli articoli 4, 7 e 9 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66 nonché in caso di gravi e reiterate violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro individuate con decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale, adottato sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano. In attesa della adozione del citato decreto, le violazioni in materia di tutela della salute e della sicurezza sul lavoro che costituiscono il presupposto per l’adozione del provvedimento di sospensione dell’attivita’ imprenditoriale sono quelle individuate nell’allegato 1.

Sul piano delle misure da adottare, in ambito aziendale, al fine di garantire la tutela della salute dei lavoratori e la loro sicurezza resta centrale il documento di valutazione dei rischi.

Secondo quanto previsto dall’art. 28 d. lgs. 81/’08, la valutazione dei rischi, estesa anche alla scelta delle attrezzature di lavoro, ai rischi connessi all’uso di sostanze o di preparati chimici impiegati ed alla sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. La valutazione va, come prima, estesa anche ai gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra i quali la norma oggi individua quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001 n. 151 nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi.

Il documento di valutazione dei rischi, deve avere data certa – altra novità – e contenere:

  1. a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
  2. b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione;
  3. c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.

Garantire il miglioramento della sicurezza è lo scopo precipuo dell’intervento del legislatore. In rapporto ad esso è stato introdotto un nuovo incombente nel documento di valutazione dei rischi: l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare – di cui alla precedente lettera c) – nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;

La lettera e) della disposizione in esame prevede poi un’altra innovazione: l’obbligo di inserire nel documento l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio.

Altro importante elemento è costituito dalla necessità di individuare le mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici, rischi che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento.
Il contenuto del documento deve altresì rispettare le indicazioni previste dalle specifiche norme sulla valutazione dei rischi contenute nei successivi titoli del decreto dal II al XII.

A mente dell’art. 29 d. lgs. 81/’08 il datore di lavoro elabora il documento di valutazione dei rischi in collaborazione con il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione con il Medico Competente (ove previsto), previa consultazione del Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza. Il sistema è quello già previsto dall’art. 4 d. lgs. 626/94.

La valutazione dei rischi e il relativo documento debbono essere rielaborati, con le medesime procedure seguite per la prima valutazione, in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori o – ulteriore novità – in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità.

A seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione debbono essere aggiornate.
Il documento di valutazione dei deve essere custodito presso l’unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione.

I datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuano la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f). Fino alla scadenza del diciottesimo mese successivo alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f), e, comunque, non oltre il 30 giugno 2012, gli stessi datori di lavoro possono autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi. Tale disposizione, però, non si applica alle attività di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d) nonché g).

I datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi sulla base delle procedure standardizzate di cui all’articolo 6, comma 8, lettera f). Nelle more dell’elaborazione di tali procedure trovano applicazione le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3, e 4 dell’art. 29.

Sono escluse dalla possibilità di effettuare la valutazione “standardizzata” le imprese ad alto profilo di rischio e cioè:

  1. a) le aziende di cui all’articolo 31, comma 6, lettere a), b), c), d), f) e g);
  2. b) le aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni, connessi all’esposizione ad amianto;
  3. c) le aziende che rientrano nel campo di applicazione del titolo IV del decreto.

L’art. 55 del d. lgs. in esame prende in considerazione le diverse tipologie di comportamenti contrari all’obbligo di procedere alla valutazione dei rischi e di predisporre il documento relativo e delinea un ventaglio di sanzioni che vanno dall’arresto alla semplice ammenda in funzione della gravità delle condotte costituenti reato.

 

 

  1. Il dirigente.

 

   La definizione legislativa.

 

   Il primo elemento di novità introdotto dal decreto legislativo 81/’08 con riguardo al dirigente consiste nella creazione di una definizione ad hoc per delineare i contorni di questa figura in rapporto alla materia della sicurezza e prevenzione sul luogo di lavoro.

   A mente dell’art. 2, infatti, riveste la qualifica in questione colui che: “in ragione delle competenze professionali e di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa”.

Criterio fondamentale scelto dal legislatore per l’individuazione del dirigente è il concreto esercizio di un potere di organizzazione dell’attività lavorativa, in stretta correlazione con un controllo sul suo sviluppo. Potrà, dunque, essere definito dirigente il soggetto dotato di un potere gerarchico tale da poter incidere sul governo dell’azienda, pur nell’alveo delle scelte programmatiche fatte dal datore di lavoro.

La definizione in esame, sebbene dettata “ai fini ed agli effetti delle disposizioni” del decreto legislativo n. 81/’08 sulla sicurezza (art. 2), sembra avere portata generale. La norma, infatti, recepisce orientamenti giurisprudenziali maturati nel settore giuslavoristico e dunque in un ambito più ampio di quello strettamente legato alla prevenzione ed alla tutela della salute del lavoratore. A conferma della sostanziale omogeneità tra la definizione contenuta nell’art. 2 d. lgs. 81/’08 e l’elaborazione sviluppatasi, in generale, sulla figura del dirigente valga la massima della Corte di Cassazione che segue, secondo cui: “La qualifica di dirigente spetta al prestatore di lavoro che, come alter ego dell’imprenditore, sia preposto alla direzione dell’intera organizzazione aziendale, o di una branca o settore autonomo di essa, e sia in concreto investito di attribuzioni che, per la loro ampiezza e per i poteri di iniziativa e di discrezionalità che comportano, gli consentano, sia pure nell’osservanza delle direttive programmatiche del datore di lavoro, di imprimere un indirizzo e un orientamento, con le corrispondenti responsabilità ad elevato livello, al governo complessivo dell’azienda e alla scelta dei mezzi produttivi di essa “ (Cass. civ., sez. Lavoro n. 13191/03).

I criteri di individuazione della figura del dirigente elaborati dalla giurisprudenza giuslavoristica avevano già portato la Cassazione penale ad affermare che: “In materia di sicurezza del lavoro, i dirigenti sono quei dipendenti che hanno il compito di impartire ordini ed esercitare la necessaria vigilanza, in conformità alle scelte di politica d’impresa adottate dagli organi di vertice che formano la volontà dell’ente, e, quindi, rappresentano l’alter ego del datore di lavoro, nell’ambito delle competenze loro attribuite e nei limiti dei poteri decisionali e di spesa loro conferiti” (Cass. pen., sez. IV n. 44650/05).

In conclusione la nuova definizione di dirigente contenuta nell’art. 2 d. lgs. 81/’08 ha il principale pregio di consolidare in una norma di legge i risultati cui era approdata da tempo la giurisprudenza.

 

   Gli obblighi.

 

L’art. 18 del d. lgs. 81/’08, intitolato “Obblighi del datore di lavoro e dei dirigenti”, delinea gli adempimenti a carattere generale, a cui, nell’ambito delle attribuzioni conferite, sono tenuti i dirigenti che: “organizzano e dirigono le attività” oggetto del decreto sulla sicurezza.

Altri adempimenti sono contenuti, inoltre, negli singoli titoli a carattere specifico che compongono il decreto.

Non si tratta, peraltro, di adempimenti del tutto nuovi.

Essi riguardano, come principi generali, il dovere di informare i lavoratori riguardo ai rischi per la loro salute e sicurezza o in merito alle situazioni di pericolo grave ed immediato, di provvedere alla loro formazione professionale, di scegliere le figure di riferimento per il corretto funzionamento del “sistema sicurezza” (medico competente, addetti al servizio di prevenzione incendi e gestione delle emergenze), di valutare la capacità professionale dei lavoratori, di proteggerli fornendo loro idonei dispositivi di protezione individuale, di vigilare sulla corretta applicazione delle norme poste a tutela della sicurezza e dell’igiene sul lavoro, di procedere alla redazione del documento unico di valutazione dei rischi nei contratti d’appalto, d’opera o di somministrazione, di convocare le riunioni periodiche, di trasmettere i dati relativi agli infortuni agli organi di vigilanza, di consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, di adottare i provvedimenti necessari per la gestione delle emergenze, di aggiornare le misure di prevenzione, di informare il servizio di prevenzione e protezione ed il medico competente in ordine agli aspetti più significativi dell’attività imprenditoriale.

I dirigenti, nell’ambito delle rispettive competenze ed attribuzioni sono destinatari “iure proprio” dell’osservanza dei precetti antinfortunistici, in quanto diretti destinatari, al pari del datore di lavoro, delle norme sulla sicurezza. Da tale posizione di garanzia deriva, per essi, una responsabilità penale in caso di non corretto o omesso adempimento degli obblighi.

Tale assetto, che oggi trae il suo fondamento dalla rubrica e dal testo dell’art. 18 d. lgs. 81/’08, è perfettamente coerente con il quadro normativo preesistente e con l’interpretazione che di esso forniva la giurisprudenza (Cass. pen., sez. IV n. 11351/06).

Fin dal 1955 con il D.P.R. n. 547 non era consentito nutrire riserve sull’essere il dirigente destinatario delle norme antinfortunistiche. L’art. 4 di tale decreto, infatti, disponeva alla lett. a) che “i datori di lavoro, i dirigenti e i preposti che esercitano, dirigono o sovrintendono alle attività indicate all’art. 1, devono nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, attuare le misure di sicurezza previste nel presente decreto”. L’attuazione delle misure di sicurezza, nel caso ad esempio di attribuzioni e di competenze con autonomia di spesa, comprendeva l’obbligo di adeguare alla disposizioni di legge le macchine del settore in cui la dirigenza veniva esercitata; invece, in mancanza di autonomia o in presenza di una relativa autonomia che non consentisse se non determinati, limitati, interventi, il ruolo di garanzia del dirigente imponeva al medesimo dirigente di segnalare al datore di lavoro le inadempienze alle norme antinfortunistiche chiedendone il rispetto o chiedendo le risorse per adempiervi personalmente.

Con il d. lgs. 626/94 il quadro non era mutato. Almeno inizialmente. Nella sua formulazione originaria l’art. 4 d. lgs. 626/’94 distingueva, infatti, tra gli obblighi indirizzati al solo datore di lavoro e gli obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e dei dirigenti e preposti, disponendo, nel comma 5 che “il datore di lavoro, il dirigente e il preposto esercitano, dirigono o sovrintendono le attività indicate all’art. 1 nell’ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, adottando le misure necessarie per la sicurezza e la salute dei lavoratori“. Una successiva modifica dell’art. 4 (d. lgs. 242/1996) aveva abolito la distinzione tra obblighi indirizzati al solo datore di lavoro ed obblighi posti congiuntamente a carico di quest’ultimo e del dirigente e tale innovazione aveva fatto dubitare che il dirigente fosse scevro da responsabilità penali, salvo il caso di delega di funzioni. La giurisprudenza, però, aveva chiarito che in realtà la modifica legislativa non era diretta a slegare il dirigente dalla posizione di garante, nell’ambito delle sue competenze ed attribuzioni, della sicurezza sul lavoro (Cass. pen., sez. IV n. 11351/06).

Alla luce delle considerazioni che precedono la scelta del legislatore attuale di considerare il dirigente diretto destinatario di obblighi concernenti il rispetto della sicurezza sul lavoro, si deve ritenere una conferma del quadro già esistente, tesa a garantire il massimo standard di efficacia possibile al sistema prevenzionistico.

La delega di funzioni (su cui si tornerà) costituisce, quindi, un quid pluris eventuale, che allarga i compiti istituzionali del dirigente e correlativamente le sue responsabilità. Ma non si tratta dell’unica fonte di responsabilità penale.

Questione ripetutamente sottoposta alla attenzione della Suprema Corte concerne la possibilità di configurare una responsabilità penale per il dirigente che non dispone di poteri delegati ed è consapevole dell’inerzia del datore di lavoro nel predisporre le misure antinfortunistiche.

Si potrebbe ragionevolmente sostenere che il dirigente non risponde penalmente, in mancanza di una norma nel nostro ordinamento che imponga al privato di impedire la commissione di un reato.

Tuttavia la giurisprudenza si è mostrata di avviso contrario.

Secondo Cass. pen., sez. IV n. 33594/06 in caso di infortunio causato dall’inadeguatezza delle misure prescritte dal datore di lavoro, il dirigente responsabile della sicurezza sul lavoro non può addurre a propria valida scusa quella di aver dovuto uniformarsi alle direttive del datore di lavoro, in quanto un atteggiamento del genere, laddove colui che lo pone in essere è consapevole dell’inadeguatezza delle misure in atto, contraddice alla specifica funzione che l’ordinamento gli attribuisce ed equivale, sostanzialmente, ad una ammissione di responsabilità.

 

 

  1. La delega di funzioni.

 

Disciplina vigente della delega di funzioni: contenuti, limiti e condizioni di validità.

 

Il decreto legislativo 81/’08 ha introdotto, ex novo, all’art. 16, una disciplina puntuale ed articolata della delega di funzioni, per decenni oggetto di esclusiva elaborazione giurisprudenziale.

In base al citato art. 16 la delega, ove non espressamente esclusa, è ammessa a particolari condizioni. Essa, infatti, deve:

  1. risultare da atto scritto avente data certa;
  2. essere conferita a soggetto in possesso di tutti i requisiti di professionalità ed esperienza richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
  3. attribuire al delegato tutti i poteri di organizzazione, gestione e controllo richiesti dalla specifica natura delle funzioni delegate;
  4. attribuire al delegato l’autonomia di spesa necessaria allo svolgimento delle funzioni delegate;
  5. essere accettata per iscritto dal delegato;
  6. essere adeguatamente e tempestivamente pubblicizzata.

In mancanza di queste condizioni la delega non avrà valore.

Nel caso in cui la delega venga conferita nel rispetto delle condizioni più sopra elencate essa non esclude comunque un obbligo di vigilanza in capo al datore di lavoro. Tale obbligo ha come oggetto la verifica del corretto espletamento da parte del delegato delle funzioni trasferite. E’ evidente che, riscontrate eventuali omissioni o inadeguatezze nello svolgimento dei compiti delegati, il datore di lavoro ha l’obbligo di attivarsi. In caso di sua inerzia nel controllo o nella tempestiva assunzione di decisioni rispetto ad adempimenti trascurati dal delegato il meccanismo della delega non si perfeziona ed il datore di lavoro risponde per culpa in vigilando.

Alla delega sono posti limiti di contenuto. In particolare , a mente dell’art. 17 d. lgs. 81/’08, per il datore di lavoro non è possibile delegare le seguenti attività:

  1. a) la valutazione di tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’articolo 28;
  2. b) la designazione del responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi
  3. c) l’autocerticazione dei rischi ex art. 29 comma 5.

   Sono delegabili gli altri obblighi in materia di sicurezza e salute sul lavoro.

 

L’elaborazione giurisprudenziale precedente alla disciplina attuale.

 

La disamina degli orientamenti giurisprudenziali maturati in relazione alle problematiche più significative manifestate della delega appare tuttora utile per comprendere a fondo il funzionamento dell’istituto.

 

I requisiti dell’atto di delega.

 

Consolida giurisprudenza affermava la necessità che la delega:

1.indicasse specificamente i doveri, gli obblighi e le responsabilità trasferite al delegato. Si richiedeva, cioè, un contenuto determinato e puntuale. La delega generica non era ritenuta valida. (Cass. pen. 22931/2003).

La sola indicazione delle funzioni delegate, però, di per sé non era considerata sufficiente a fondare un valido trasferimento. Occorreva, infatti, un altro requisito:

  1. che il delegante conferisse al delegato specifici poteri e ben individuate aree di autonomia decisionale idonei, gli uni e le altre, all’adempimento degli obblighi delegati. In altre parole, occorreva che venissero espressamente attribuiti al delegato poteri autoritativi, decisori e di spesa idonei a fronteggiare gli eventi temuti.

Tali poteri erano così individuati:

  • potere di conoscenza – inteso come libero accesso del delegato alla sicurezza ai luoghi di lavoro in qualunque momento dell’attività produttiva; come diritto del medesimo soggetto di dialogare con i lavoratori o con persone estranee; come diritto a potersi informare leggendo i documenti aziendali connessi alle scelte da effettuare in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro;
  • poteri d’intervento del delegato nella scelta delle attrezzature, nella collocazione dei macchinari, nell’individuazione dei mezzi di protezione, nella modifica delle condizioni di lavoro, delle fasi e dei tempi del processo lavorativo;
  • poteri di coordinamento tra i vari comparti aziendali
  • poteri di spesa, intesi come libertà del delegato di accedere ai mezzi finanziari – entro limiti prefissati dalla delega — per coprire i costi relativi alla sicurezza senza dover in alcun modo ottenere un consenso da parte del datore di lavoro delegante ( pen., sez. IV n. 1760/93 e Cass. pen., sez. II n. 9994/94);
  1. La delega, poi, doveva essere espressa e non implicita.

Salvo isolate pronunce, la giurisprudenza non riconosceva valore alla delega che si desumesse implicitamente da fatti concludenti. Occorreva, al contrario, che l’atto di delega fosse espresso e caratterizzato, come già precisato, da un contenuto chiaro (Cass. pen. 22931/2003, Cass. pen., sez. IV n. 9343/00, Cass. pen., sez. IV n. 6028/90). Sul punto, da ultimo, ribadisce tali concetti anche Cass. pen., sez. IV n. 8604/08.

Originariamente la giurisprudenza dominante aveva ritenuto che l’atto di delega dovesse avere forma scritta. Sul punto, però, vi era contrasto: con la sentenza Cass. pen., sez. III n. 22931/03, ad esempio,era stato precisato che: “In tema di individuazione delle responsabilità penali nelle strutture complesse, la necessità che la delega di funzioni da parte dei vertici aziendali ai soggetti preposti debba avere forma espressa e contenuto chiaro non comporta la necessità della forma scritta, richiesta nel solo settore pubblico, atteso che solo in campo amministrativo sussiste l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi all’interno della struttura.”

Il problema, oggi deve ritenersi superato in favore della forma scritta, alla luce dell’art. 16 n. 1 d. lgs. citato.

 

     Le condizioni per la operatività della delega.

 

Secondo la Suprema Corte occorreva che:

  1. le dimensioni dell’impresa fossero tali da giustificare il decentramento di compiti e di responsabilità e la delega si caratterizzasse come necessaria (Cass. pen., sez. IV, 08/05/2001, Fornaciari).

Alcune pronunce più recenti, peraltro, avevano riconosciuto la possibilità di una delega anche in imprese di piccole dimensioni. In Cass. pen., sez. III, 15-07-2005 (12-04-2005), n. 26122, si legge che: “In tema di tutela e sicurezza dei luoghi di lavoro, ai fini della legittimità della delega di funzioni introdotta dal D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, come modificato dal D.Lgs. 19 marzo 1996 n. 242, non è necessario che trattasi di impresa di notevoli dimensioni. atteso che la necessità della delega non dipende esclusivamente dal dato quantitativo, ma può essere determinata dalle caratteristiche qualitative dell’organizzazione aziendale” (in termini anche Cass. Pen., sez. III, 23/06/2004, n. 28126).

Secondo numerose pronunce, poi, per l’operatività corretta della delega era indispensabile che fosse conferita in base a precise ed ineludibili norme interne o disposizioni statutarie, che disciplinassero il suo conferimento e ne garantissero adeguata pubblicità.

  1. l’accettazione espressa della delega da parte del delegato. Ad esempio in Cass. pen., sez. IV, 09-03-1999, Abete, si afferma che: “È necessario, poi. che il delegante affidi le attribuzioni e le competenze proprie al suo ruolo a persona tecnicamente preparata e capace, che abbia volontariamente accettato la delega nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi, che sia stata fornita di poteri autoritativi autonomi e decisori pari a quelli dell’imprenditore e idonei a far fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari’. (Negli stessi termini anche Cass. pen., sez. IV 20/09/1994, Cairo, e Cass. pen., sez. IV, 23/02/1993, Iacono).

 

 

     L’attuazione della delega.

 

La giurisprudenza subordinava il perfezionamento della delega a tre condizioni poste in capo al datore di lavoro. Occorreva, infatti, che il delegante:

  1. controllasse e verificasse che il delegato assolvesse i compiti ricevuti in materia antinfortunistica tramite la delega.
  2. non assumesse comportamenti che configurassero una indebita ingerenza nell’attività del delegato. La piena autonomia decisionale del delegato doveva – e deve – essere effettiva e rispettata dal datore di lavoro in tutti i suoi aspetti più sopra delineati
  3. intervenisse nel caso il cui venisse avvisato dal delegato della necessità di adottare misure determinate prevenzionali che il delegato per qualsivoglia motivo, ad esempio perché eccedenti i suoi poteri di spesa, non potesse adottare.

 

 

Caratteristiche dei soggetti delegati.

 

La giurisprudenza costante affermava che i delegati dovevano possedere la necessaria competenza tecnica, cioè essere dotati dei requisiti tecnico-professionali idonei ad esercitare la funzione delegata ed identificava tali soggetti nei dirigenti.

 

 

 

RIFERIMENTI NORMATIVI

 

 

  • Datore di lavoro

 

  1. Lgs. n. 81/2008: art. 2; art. 17; art. 18; art. 26; art. 28; art. 29; art. 30; art. 34; art. 35; art. 36; art. 37; art. 43; art. 45; art. 55; art. 64; art. 68; art. 71; art. 73; art. 77; art. 78; art. 80; art. 87; art. 90; art. 91; art. 92; art. 93; art. 94; art. 95; art. 96; art. 97; art. 100; art. 101; art. 111; art. 112; art. 113; art. 116; art. 117; art. 118; art. 119; art. 121; art. 122; art. 123; art. 125; art. 126; art. 127; art. 128; art. 129; art. 136; art. 145; art. 148; art. 151; art. 152; art. 154; art. 159; art. 163; art. 164; art. 165; art. 168; art. 169; art. 170; art. 174; art. 175; art. 176; art. 177; art. 178; art. 181; art. 182; art. 183; art. 184; art. 185; art. 190; art. 192; art. 193; art. 194; art. 195; art. 197; art. 202; art. 203; art. 205; art. 209; art. 210; art. 216; art. 217; art. 223; art. 225; art. 226; art. 227; art. 228; art. 229; art. 235; art. 236; art. 237; art. 238; art. 239; art. 240; art. 241; art. 242; art. 248; art. 250; art. 252; art. 253; art. 254; art. 255; art. 256; art. 257; art. 258; art. 259; art. 260; art. 262; art. 269; art. 270; art. 271; art. 272; art. 273; art. 274; art. 275; art. 276; art. 277; art. 278; art. 279; art. 280; art. 282; art. 289; art. 290; art. 291; art. 292; art. 293; art. 294; art. 296; art. 297.

 

  • Dirigente

 

  1. lgs. 81/’08: art. 2; art. 15; art. 18; art. 19; art. 20; art. 35; art. 50; art. 55; art. 78; art. 96; art. 159; art. 165; art. 170; art. 173; art. 178; art. 219; art. 262; art. 277; art. 282; art. 297.

 

 

GIURISPRUDENZA.

 

 

I requisiti dell’atto di delega

 

Cass. pen. Sez. III, 13 marzo 2003, n. 22931

In materia di responsabilità del legale rappresentante di una società o altro ente collettivo in ordine all’osservanza delle disposizioni sanzionate penalmente poste a carico della società o dell’ente, al fine di potersi escludere la responsabilità penale del predetto rappresentante legale in caso di delega delle relative attribuzioni occorre che. a) la delega abbia forma espressa (non tacita) e contenuto chiaro, in modo che il delegato sia messo in grado di conoscere la responsabilità che gli sono attribuite; b) il delegato sia dotato di autonomia gestionale e di capacità di spesa nella materia delegata, in modo che sia messo in grado di esercitare effettivamente la responsabilità assunta; e) il delegato sia dotato di idoneità tecnica, in modo che possa esercitare la responsabilità con la dovuta professionalità. Non è invece richiesto da alcuna norma che la delega debba avere necessariamente forma scritta e debba così essere fornita nel processo penale necessariamente una prova scritta dell’esistenza di tale delega. Neppure può sostenersi che la delega sia ammissibile solo nelle strutture di grandi dimensioni, giacché, al di là delle dimensioni, altre ragioni ben possono giustificare il conferimento della delega: per esempio, la titolarità di altre piccole aziende in capo al rappresentante legale, ovvero la particolare professionalità di un dirigente in un settore ad alto tasso tecnico, che induce il titolare dell’azienda ad affidargli la responsabilità del settore, e simili. In un tale quadro, ciò che il giudice penale può e deve fare, qualora venga addotta la presenza di una delega, è piuttosto quello di verificare che non si tratti di una delega apparente: ciò che dovrebbe ritenersi, per esempio, allorché il delegante abbia continuato a ingerirsi nella gestione del settore delegato ovvero abbia ostacolato la spesa deliberata dal delegato (sintomi inequivoci dell’apparenza della delega).

Cass. pen., sez. IV 23-02-1993 (17-12-1992), n. 1760

L’imprenditore può legittimamente delegare ad altro soggetto gli obblighi su lui gravanti attinenti alla tutela antinfortunistica solo se si trovi impossibilitato ad esercitare di persona i poteri doveri connessi alla condizione di naturale destinatario della normativa antinfortunistica, per la complessità ed ampiezza dell’azienda, per la pluralità di sedi e stabilimenti di impresa o per altre ragionevoli evenienze sì da escludere una immotivata dimissione dal suo ruolo legale. E’ necessario poi che il delegante affidi le attribuzioni e le competenze proprie al suo ruolo a persona tecnicamente preparata e capace, che abbia volontariamente accettato la delega nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi, che sia stata fornita di poteri autoritativi e decisori autonomi pari a quelli dell’imprenditore e idonei a fare fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari.

 

Cass. pen., sez. II 20-09-1994 (08-09-1994), n. 9994

L’imprenditore può legittimamente delegare ad altro soggetto gli obblighi su lui gravanti, attinenti alla tutela antinfortunistica, solo se si trovi impossibilitato ad esercitare di persona i poteri- doveri connessi alla condizione di naturale destinatario della normativa antinfortunistica, per la complessità ed ampiezza dell’azienda, per la pluralità di sedi e stabilimenti di impresa o per altre ragionevoli evenienze, sì da escludere una immotivata dimissione dal suo ruolo legale. E’ necessario poi che il delegante affidi le sue attribuzioni a persona tecnicamente preparata e capace. Quest’ultima deve volontariamente accettare la delega (nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi), deve essere fornita di poteri autoritativi e decisori autonomi, pari a quelli dell’imprenditore ed idonei a fare fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari. Ne deriva che tanto la delega quanto la volontaria assunzione delle suddette attribuzioni devono risultare da atti inequivoci e devono essere specificamente provate.

 

Cass. pen., sez. IV 25-08-2000 (22-06-2000), n. 9343

In materia di infortuni sul lavoro, gli obblighi di prevenzione, assicurazione e sorveglianza gravanti sul datore di lavoro possono essere delegati, con conseguente subentro del delegato nella posizione di garanzia che fa capo al datore di lavoro. Tuttavia, il relativo atto di delega deve essere espresso, inequivoco e certo, e deve investire persona tecnicamente capace, dotata delle necessarie cognizioni tecniche e dei relativi poteri decisionali e di intervento, che abbia accettato lo specifico incarico, (fermo comunque restando l’obbligo per il datore di lavoro di vigilare e controllare che il delegato usi, poi, concretamente la delega, secondo quanto la legge prescrive). Va escluso, di conseguenza, che la delega possa essere inespressa o implicita, e che si possa presumerla solo dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ad altri dipendenti o dalle dimensioni dell’impresa stessa.

 

Cass. pen., sez. IV 24-04-1990 (06-02-1990), n. 6028

In materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, il preposto non si sostituisce di regola alle mansioni direttive dell’imprenditore o del dirigente e tanto meno assume da solo l’obbligo di attuare le misure antinfortunistiche, salvo che non abbia ricevuto un’espressa delega e sia persona tecnicamente preparata e capace.

 

Cass. pen., sez. IV n. 8604/08

In materia di violazione della normativa antinfortunistica, gli obblighi di cui è titolare il datore di lavoro possono essere trasferiti ad altri sulla base di una delega che deve però essere espressa, inequivoca e certa, non potendo la stessa essere invece implicitamente presunta dalla ripartizione interna all’azienda dei compiti assegnati ai dipendenti o dalle dimensioni dell’impresa.

 

Cass. pen., sez. III n. 22931/03

In tema di individuazione delle responsabilità penali nelle strutture complesse, la necessità che la delega di funzioni da parte dei vertici aziendali ai soggetti preposti debba avere forma espressa e contenuto chiaro non comporta la necessità della forma scritta, richiesta nel solo settore pubblico, atteso che solo in campo amministrativo sussiste l’esigenza di una formalizzazione dei rapporti organizzativi all’interno della struttura.

 

Cass. pen., sez. IV 08-05-2001 (27-03-2001), n. 20176

In materia di infortuni sul lavoro, le responsabilità del datore di lavoro relative a società di rilevanti dimensioni, possono concernere solo i profili organizzativi nell’ambito dei quali sono da comprendere anche la predisposizione di adeguato organigramma dirigenziale ed esecutivo il cui corretto funzionamento esonera l’imprenditore da responsabilità di livello intermedio e finale.(In applicazione di tale principio la S.C. ha escluso la responsabilità del Presidente del consiglio di amministrazione di una società di rilevanti dimensioni, in ordine ad infortunio mortale occorso ad un operaio, addebitatogli senza che vi fossero censure in ordine all’organizzazione del lavoro ed essendo l’infortunio stesso avvenuto all’interno di uno stabilimento diretto da funzionario idoneo e capace).

 

Cass. pen., sez. III, 15-07-2005 (12-04-2005), n. 26122

In tema di tutela e sicurezza dei luoghi di lavoro, ai fini della legittimità della delega di funzioni introdotta dal D.Lgs. 19 settembre 1994 n. 626, come modificato dal D.Lgs. 19 marzo 1996 n. 242, non è necessario che trattasi di impresa di notevoli dimensioni. atteso che la necessità della delega non dipende esclusivamente dal dato quantitativo, ma può essere determinata dalle caratteristiche qualitative dell’organizzazione aziendale.

 

Cass. pen. Sez. III, (ud. 16-05-2004) 23-06-2004, n. 28126 (non massimata)

 

la distinzione tra imprese di grandi dimensioni e medie e piccole non assume particolare rilievo (ai fini dell’esistenza della delega n.d.r.), giacchè la necessità di decentrare compiti e responsabilità non può escludersi, a priori, nelle piccole e medie aziende in considerazione della sempre maggiore complessità dell’attività produttiva dell’impresa moderna e della congerie di norme da osservare, che spesso richiedono il possesso di conoscenze tecniche specialistiche non comuni tali da imporre il ricorso ad esperti, sempre che ciò sia necessario.

 

Cass. pen., sez. IV, 09-03-1999

È necessario, poi. che il delegante affidi le attribuzioni e le competenze proprie al suo ruolo a persona tecnicamente preparata e capace, che abbia volontariamente accettato la delega nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi, che sia stata fornita di poteri autoritativi autonomi e decisori pari a quelli dell’imprenditore e idonei a far fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari.

 

Cass. pen., sez. II 20-09-1994 (08-09-1994), n. 9994

L’imprenditore può legittimamente delegare ad altro soggetto gli obblighi su lui gravanti, attinenti alla tutela antinfortunistica, solo se si trovi impossibilitato ad esercitare di persona i poteri- doveri connessi alla condizione di naturale destinatario della normativa antinfortunistica, per la complessità ed ampiezza dell’azienda, per la pluralità di sedi e stabilimenti di impresa o per altre ragionevoli evenienze, sì da escludere una immotivata dimissione dal suo ruolo legale. E’ necessario poi che il delegante affidi le sue attribuzioni a persona tecnicamente preparata e capace. Quest’ultima deve volontariamente accettare la delega (nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi), deve essere fornita di poteri autoritativi e decisori autonomi, pari a quelli dell’imprenditore ed idonei a fare fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari. Ne deriva che tanto la delega quanto la volontaria assunzione delle suddette attribuzioni devono risultare da atti inequivoci e devono essere specificamente provate.

 

Cass. pen., sez. IV 23-02-1993 (17-12-1992), n. 1760

L’imprenditore può legittimamente delegare ad altro soggetto gli obblighi su lui gravanti attinenti alla tutela antinfortunistica solo se si trovi impossibilitato ad esercitare di persona i poteri doveri connessi alla condizione di naturale destinatario della normativa antinfortunistica, per la complessità ed ampiezza dell’azienda, per la pluralità di sedi e stabilimenti di impresa o per altre ragionevoli evenienze sì da escludere una immotivata dimissione dal suo ruolo legale. E’ necessario poi che il delegante affidi le attribuzioni e le competenze proprie al suo ruolo a persona tecnicamente preparata e capace, che abbia volontariamente accettato la delega nella consapevolezza degli obblighi di cui viene a gravarsi, che sia stata fornita di poteri autoritativi e decisori autonomi pari a quelli dell’imprenditore e idonei a fare fronte alle esigenze connesse all’apprestamento dei presidi antinfortunistici, compreso l’accesso ai mezzi finanziari.